Tunisia, tra corruzione crisi economica e flussi migratori – Ottobre 2023

Dall’introduzione:

 

Nel 2011 in Tunisia scoppiava la rivolta che portò alla fine del sanguinario regime di Ben Alì. Pieni d’ebbrezza, giornalisti e opinionisti si congratulavano a vicenda per l’ennesimo trionfo della democrazia nel critico giardino di casa dell’imperialismo europeo. Non senza un pizzico di poesia, a quelle giornate tragiche, che ebbero il loro tributo di sangue, fu dato il nome di
rivoluzione dei gelsomini, in riferimento a quel fiore dal profumo dolcissimo, così profondamente legato alla cultura
tunisina da esserne considerato un simbolo.
I fiori, però, hanno vita effimera e appassiscono presto; d’altronde neanche i giardini della borghesia durano a lungo.
Per loro destino, prima o poi diventano cimiteri.

 

Nel mondo almeno trenta-quaranta milioni di uomini, forse anche cinquanta, si spostano ogni anno dalle campagne alle città. L’accrescersi delle fila della nostra classe, che sostanzia gran parte di quel processo, è il vero respiro del mondo. È da qui che bisogna partire, perché è nel mercato mondiale che vanno ricercate le coordinate della crisi tunisina. Essa è un precipitato politico del mutamento mondiale che sostanzia, anche nel cortile d’Europa, l’era delle potenze continentali.
Emigrazione, urbanizzazione e disgregazione contadina sono facce del medesimo processo. Esso appare come un movimento della popolazione, ma rispecchia in realtà il movimento dell’accumulazione del capitale, dove lo squilibrio fra “demografia” ed “economia” vi è connaturato.

 

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