Bollettino 2018 ottobre

Bollettino 2018 ottobre

La redazione del Coordinamento Ingegneri e Tecnici ha deciso di dedicare l’editoriale di questo mese al fenomeno migratorio, riportando dati e numeri sul fenomeno, dati reali già sufficienti per confutare le odiose campagne razziste che stanno circolando in Italia e in Europa.

Come Coordinamento facciamo alcune premesse: non possiamo accettare la distinzione di esseri umani – uomini, donne, bambini – fra migranti economici da respingere e rifugiati politici da accogliere. Riteniamo che la tesi secondo la quale non si deve accogliere chi fugge dalla povertà economica, ma solo chi scappa dalle guerre è puerile e ipocrita, sarebbe a dire che solo chi fugge dalle guerre e non dalla fame ha diritto all’esistenza.


SOMMARIO

Titolopag.
I lavoratori immigrati in Italia1-2-8
Dinamica mondiale degli occupati3-4-5
Le onde gravitazionali6-7

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I LAVORATORI IMMIGRATI IN ITALIA:
NUMERI, ETÀ, SETTORI PRODUTTIVI, SCOLARIZZAZIONE

L’umanità ha accumulato nei secoli immense ricchezze, capacità scientifiche, logistiche e tecnologiche, eppure esseri umani rischiano la vita su mezzi fatiscenti per attraversare un piccolo braccio di mare, per cercare di fuggire dalla fame, dalla miseria, o dalla guerra che sia, non può fare differenza. Per noi del coordinamento non può essere accettato come dato di fatto, ancor più nel secolo in cui viviamo, e con il tenore di vita acquisito nei paesi per loro della speranza, spesso per la stessa sopravvivenza.

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nei primi 8 mesi di quest’anno sono 1.600 le persone che hanno perso la vita o risultano disperse nel Mediterraneo, quindi 1 su 18 tra chi parte non riesce ad approdare sulla sponda della salvezza. Tutto questo mentre nel Vecchio continente l’inverno demografico è quanto mai evidente.

L’Europa è un continente che registra un forte calo della natalità, al di sotto della fisiologica soglia della riproduzione. La popolazione invecchia con ovvie ripercussioni legate ai costi ed alle risorse necessarie al mantenimento, alla cura, all’assistenza e alla sanità di una popolazione sempre più anziana. L’esigenza di giovani lavoratori è vitale, ma con argomenti anche esplicitamente razzisti si vorrebbe isolare il continente con fili spinati e muri. Pochi chilometri a sud, superato il Mediterraneo, il continente africano ha centinaia di milioni di giovani e giovanissimi che lo sviluppo economico sradica dalle campagne e mette in movimento verso le città. Pensare di arrestare questo flusso è disumano in primo luogo, ma anche impossibile, insensato, miope, antistorico e aggiungiamo antieconomico. Siamo chiari, l’unica ragione che vediamo è il cinico calcolo di prendere qualche voto in più; fenomeni migratori che andrebbero spiegati per quello che sono, invece vengono strumentalizzati, distorti, spesso ampliati, alimentando e creando paure e preoccupazioni.

I numeri non sono opinabili: attraverso i numeri possiamo comprendere la realtà Italiana; riportiamo alcuni dati dal RAPPORTO ANNUALE 2018 sugli stranieri nel mercato del lavoro in Italia stilato dal ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Come si evince dalla Fig.1, ci sono tanti paesi europei che hanno una percentuale di immigrati sulla popolazione che è molto superiore a quella italiana. Colpisce l’Austria, infatti, nonostante le roboanti dichiarazioni di chiusura dei confini, è tra i paesi Europei che hanno la maggiore incidenza sulla popolazione: se il totale nazionale è al 16% significa che nelle grandi città la percentuale potrebbe essere addirittura doppia. Inoltre il fenomeno migratorio è più recente per l’Italia, in paesi come la Francia il dato indicato non tiene conto delle seconde e terze generazioni nate da genitori stranieri che sono presenti nel paese.

Approfondiamo alcuni aspetti sulla componente straniera che lavora in Italia. Il primo dato che balza all’occhio (Fig.2) è l’incidenza sulle giovani generazioni, infatti nella fascia di età 15-34 anni già oggi un lavoratore su 6 non è nato in Italia, mentre tra i 50-64 anni il dato si attesta a uno su 15. Quindi una consistente parte della componente attiva che produce la ricchezza non è nata in Italia. Il beneficio economico per la penisola (se possiamo usare questa espressione) si può anche condensare nei seguenti dati.

Il rapporto in oggetto quantifica complessivamente gli attivi in 22,4 milioni nel 2017 e i lavoratori stranieri in 2,3 milioni quindi il 10,5% del totale. Le pensioni di natura previdenziale in Italia sono 13,9 milioni ma di queste solo 49 mila, ovvero lo 0,35% è erogato a cittadini stranieri. Le pensioni di natura assistenziale (invalidità civili, assegni sociali, ecc) sono 3,9 milioni e di queste 70 mila (1,8% del totale) vanno a stranieri.

Ripartizione per settori

È evidente come già oggi in alcuni rami occupazionali la presenza dei lavoratori immigrati sia determinate. Il peso è molto differenziato tra i settori (Fig.3).

Nella vasta categoria “Altri servizi collettivi e personali” la presenza di lavoratori non nativi è pari a 37,3 punti, con una netta preponderanza della forza lavoro non UE. Seguono Alberghi e ristoranti (18,5%), Agricoltura (16,9%) e Costruzioni (16,6%).

Per completare la fotografia (Fig.4) possiamo anche vedere la posizione nella professione. La quasi totalità dei lavoratori stranieri svolge un lavoro da dipendente, precisamente l’86% contro il 75,6% degli italiani. Tra i dipendenti i lavoratori stranieri svolgono al 70% una mansione da operaio mentre i lavoratori italiani si attestano al 31%.

Sono lavoratori che prevalentemente occupano i gradini più bassi, ma non necessariamente è bassa la loro scolarizzazione. Inoltre possiamo aggiungere che da una parte si discute di industria 4.0, digitalizzazione, intelligenza artificiale e dall’altra si lasciano uomini a raccogliere i pomodori a mano per pochi euro al giorno nella stessa società in cui questa attività sarebbe in gran parte meccanizzabile.

I laureati stranieri nel mercato del lavoro

Il disallineamento (mismatch) tra competenze formali e mansioni ricoperte è un fenomeno che non riguarda solo i lavoratori italiani. Il rapporto citato mostra anche la “dispersione di capitale umano” dei cittadini stranieri.

La platea degli occupati è stata scomposta non solo per titolo di studio ma anche per il livello di Skills dell’impiego ricoperto (high, medium e low). Le lauree sono state divise in due grandi campi, quelle ad indirizzo tecnico scientifico STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) e le altre ovvero non STEM, quelle afferenti alle aree disciplinari socio-umanistiche. La classificazione STEM è utile per individuare quelle discipline che, a livello internazionale, possono essere maggiormente spendibili sotto il profilo della occupazione.

L’acronimo STEM cominciò ad essere utilizzato, già negli anni ’60, nei dibattiti politici americani sull’istruzione per affrontare la carenza di candidati qualificati per lavori ad alto contenuto tecnologico ed è stato anche ampiamente utilizzato nel dibattito pubblico statunitense sull’immigrazione di cittadini stranieri in materia di accesso ai “visti di lavoro” negli Stati Uniti per figure specialistiche.

Sia per i nativi italiani che per gli immigrati extra UE il peso delle lauree STEM sul totale delle lauree possedute è di circa un quarto. Gli immigrati extra UE in possesso di una laurea che lavorano in Italia sono quasi l’11% di tutti i lavoratori stranieri, mentre tra i nativi italiani occupati possiede la laurea il 23,6%. (Fig. 5).

Intrecciando i dati per area disciplinare della laurea conseguita e classe di skill per l’impiego ricoperto negli occupati con istruzione di terzo livello, si osserva come più del 90% degli italiani con un titolo STEM svolge una funzione ad alta qualifica e pertanto formalmente coerente, così come più dell’80% dei “Non STEM”. Nel caso dei cittadini stranieri non UE, le percentuali scendono al 26,0% per i laureati STEM e al 24,4% per gli altri laureati.

Il 47,5% dei laureati Extra UE con titolo di laurea in una disciplina STEM è impiegato in qualifiche low skill, a fronte dell’1,8% degli italiani e del 21,9% dei comunitari. La tesi che gli stranieri “rubano” il lavoro dunque non regge. Svolgono per lo più mansioni che i giovani italiani non vogliono più effettuare.

Inoltre emerge il paradosso della mancanza di lavoratori con competenze di alto profilo; mancano tecnici, ma gli stranieri extra UE anche con elevata formazione, vengono impiegati (e sottopagati) in occupazioni low skill.

Come coordinamento invitiamo a riflettere, a non guardare al colore della pelle, alla differenza di religione o alla provenienza di origine, di vedere invece un interesse comune nel contrastare uno sfruttamento così cinico e inefficiente delle risorse umane. Documentiamo in un altro articolo del bollettino come nel mondo i lavoratori dipendenti abbiano oramai raggiunto e superato i due miliardi di unità. Certamente con ampie stratificazioni al loro interno, ma in fondo accomunati dalla stessa collocazione sociale. Ogni divisione indebolisce la coalizione e mina la possibilità di una azione comune.


DINAMICA MONDIALE DELLA POPOLAZIONE E DEGLI OCCUPATI

In un mondo pieno di informazioni imprecise, generiche e contrastanti, anche senza considerare le famigerate “fake news”, in cui vengono citati, spesso a sproposito, saggi sulla fine del lavoro e dove in alcuni film propongono futuri distopici con visioni “malthusiane” (“Seven Sisters” per citare un solo esempio) è doveroso fare un po’ di chiarezza sull’andamento della popolazione attiva, sul numero di salariati, e sulla distribuzione nei vari settori produttivi. Possiamo rifarci alle statistiche prodotte dall’ILO, un’agenzia specializzata dell’ONU che nel 2019 celebrerà il suo centesimo compleanno.

 Per prima cosa è utile osservare l’andamento della popolazione mondiale, della popolazione attiva e quanta parte di essa rappresentano i lavoratori salariati. Si è utilizzato come data base di osservazione il 2017, e si è tornati indietro, con intervalli di 10 e di 20 anni per avere una dinamica temporale dell’andamento.

Ovviamente l’andamento dei grafici è qualitativo, nella realtà la dinamica non è lineare e omogenea ma è il prodotto di uno sviluppo ineguale e quindi caratterizzato da salti, scossoni e crisi.

In generale continua a crescere, seppur con un andamento più lento rispetto agli anni ’80, la popolazione mondiale che ormai ha oltrepassato i 7 miliardi e mezzo di persone (vedi grafico 1).

Aumenta anche la popolazione attiva, ossia aumentano i lavoratori in senso lato (salariati, imprenditori, lavoratori autonomi), tra di essi vanno contati anche i disoccupati, che sono una parte organica e flessibile del mondo del lavoro.

Prendendo in considerazione il nostro intervallo di osservazione (1997-2017), in vent’anni sono proprio i lavoratori salariati (cioè i dipendenti) a registrare la dinamica di crescita maggiore superando ampiamente i 2 miliardi, nonostante il ciclo economico più o meno rallentato e le altalene dei mercati.

Possiamo dire che, seppur con una crescita fortemente differenziata per aree, ogni anno si aggiungono 26 milioni di dipendenti: quindi come se ogni due anni si aggiungesse al mondo un numero di salariati equivalente a quello del Giappone.

L’aspetto più importante, dopo averne constatato la crescita, è analizzare la struttura, le modifiche della struttura, la dinamica di queste modifiche: la dislocazione per aree, la distribuzione per età, la scolarizzazione, la suddivisione per settori produttivi, e naturalmente la quota parte di essa che è rappresentata dai salariati, ossia i nostri colleghi.

In questo numero analizzeremo la suddivisione per settori produttivi e la dislocazione per aree.

Per quanto riguarda l’andamento per macro-settori (vedi grafico 2) si può notare che il settore agricolo mostra un calo sensibile di occupati. In vent’anni gli addetti sono passati da una percentuale del 40% della forza lavoro globale al 25%. Ciò è dovuto allo sviluppo economico generale dei paesi più arretrati, quindi alla sempre maggiore meccanizzazione e alla conseguente scomparsa dell’agricoltura di pura sussistenza; è prevedibile che questo andamento continuerà fino a che non si attesterà sulle percentuali dei paesi più sviluppati (dove la percentuale di lavoratori impiegati in agricoltura è inferiore al 5%). Una rapidità di trasformazione notevole: nel mondo venti anni fa quasi uno su due era addetto all’agricoltura, oggi solo uno su quattro.

In questi numeri si condensano giganteschi spostamenti di giovani asiatici, africani, sudamericani dalle campagne alle città. Milioni di uomini che sono strappati dalla vita contadina e si inseriscono nell’ingranaggio della moderna produzione. Questo processo economico è alla base dei flussi migratori odierni, flussi migratori quindi in piccola parte dovuti ai profughi delle guerre ma in grandissima maggioranza prodotto dell’ineguale sviluppo economico delle aree del mondo.

Nel settore industriale, che include la manifattura, le costruzioni, le attività minerarie ed estrattive, si nota un andamento sostanzialmente stabile attorno al 22.5% dei lavoratori globali. Ma questo è un dato percentuale quindi, se il totale è un dato in crescita, in termini assoluti il numero di lavoratori nell’industria in senso “stretto” aumenta e passa da 560 milioni a 740 milioni. Ce ne è abbastanza per smentire tutte le chiacchiere sulla deindustrializzazione. Attività industriali che sono il motore della crescente produzione di beni materiali, e che vedono una crescente automazione nei processi produttivi che necessita di lavoratori sempre più qualificati.

Il settore dei servizi ha superato anche in percentuale i lavoratori agricoli attorno ai primi anni del nuovo millennio. Va notato che la differenziazione fra “servizi” e “industria” è quanto mai labile e dipende dal grado di sviluppo economico e dalla specializzazione delle attività. Molte sono esternalizzate dall’industria e cambiano solo formalmente di denominazione ma restano le stesse, basti pensare a tutti quei servizi di supporto all’industria: società di consulenza, studi tecnici, etc.

 Vi è un incremento degli addetti anche nei servizi “non-market”: nei paesi in via di sviluppo e negli emergenti di fascia bassa questo aumento sarà soprattutto nel settore dell’educazione, nei paesi emergenti di fascia alta e nei paesi sviluppati sarà nel settore della salute.

Uno sguardo alle macro aree

Finora sono state fatte delle considerazioni a livello globale, è interessante guardare l’evoluzione prendendo in considerazione le macro-aree e osservando i Paesi più significativi all’interno di esse.

Nella tabella seguente sono indicati, all’interno della popolazione attiva, il numero di lavoratori salariati (Employees), di imprenditori (Employers) e di lavoratori in proprio (Own account) e la dinamica nel ventennio.

Il criterio per la suddivisione dei lavoratori è quello utilizzato a livello internazionale (ICSE-93) che oltre alle tre categorie sopra menzionate classifica anche i collaboratori familiari e i membri delle cooperative.

Nei paesi sviluppati i lavoratori in proprio sono per la maggior parte dei piccoli commercianti e liberi professionisti, mentre nei paesi in via di sviluppo la maggioranza sono coltivatori diretti di piccoli appezzamenti destinati a ridursi.

Europa

L’Europa è da considerarsi un continente “maturo” sia nel senso economico sia demografico; il lieve aumento di popolazione è tutto dovuto alle immigrazioni da altre parti del pianeta. Si può notare che imprenditori e lavoratori in proprio rappresentano una piccola percentuale (15%) dei lavoratori totali, e sono stazionarie mentre l’unico aumento si ha tra i lavoratori salariati che superano i 200 milioni di addetti.

Nord America

L’ILO considera come Nord America solo gli Stati Uniti ed il Canada, mentre il Messico viene inserito nella macro categoria dei Paesi latino-americani e caraibici.

Visto che gli Stati Uniti e Il Canada sono paesi pienamente sviluppati anche qui si nota che la stragrande maggioranza degli attivi è rappresentata dai lavoratori salariati e che inoltre è l’unica categoria che continua a crescere numericamente.

America Latina e Caraibi

Si parla di un’area del pianeta ancora vivace demograficamente e con processi non ancora pienamente compiuti di passaggio a economie sviluppate. Quindi tutte e tre le componenti registrano un aumento, significativo. Il Brasile è la potenza regionale.

Medio Oriente e Africa

Come si può osservare in tabella il numero di lavoratori è in continuo aumento, ma con un’accelerazione significativa dei lavoratori dipendenti. È una zona del pianeta con una demografia ancora “esuberante”; la quota di partecipazione femminile al lavoro, per retaggi cultural-religiosi, è ancora molto bassa. L’età media della popolazione delle nazioni di questa zona del pianeta è la più bassa del globo.

Asia

In questa popolosissima zona del pianeta si nota il solito andamento che vede l’aumento dei lavoratori salariati. Potremmo dire che in tutte le regioni del pianeta si ripete traslato nel tempo e nello spazio lo stesso processo già visto in Europa e Stati uniti.

È interessante una fotografia della dislocazione dei lavoratori salariati divisi in grandi macro aree.

Europa, l’area attorno alla Russia e Nord America considerate assieme dispongono di circa mezzo miliardo di salariati, poco meno hanno America latina Medio-oriente ed Africa, mentre l’Asia divisa nei due grandi comparti attorno ai giganti India e Cina arriva a superare da sola il miliardo di lavoratori.

Due osservazioni conclusive:

La prima è che di fronte alle trasformazioni tecnologiche, all’aumento dell’automazione in corso, inevitabilmente la richiesta di ingegneri e tecnici aumenta a livello mondiale. Avere una forza lavoro più scolarizzata diventa un ingrediente importante nella concorrenza tra le varie economie.

La seconda osservazione è che dalla quantità e dalla dinamica delle stratificazioni dei lavoratori nei vari paesi, è possibile apprezzare la dimensione dei cambiamenti economici in corso. Proprio questi sconvolgimenti sociali sono alla base della nascita di nuovi colossi economici concorrenti. Sono alla base, anche, delle crescenti paure che arrivano a mettere in discussione certezze che si credevano acquisite una volta per tutte con la globalizzazione. Tensioni protezioniste, dazi commerciali, barriere di vario tipo tornano ad essere uno strumento usato comunemente nella lotta mondiale; come lavoratori dipendenti ed in particolare come ingegneri e tecnici, alzare lo sguardo e conoscere queste dinamiche significa già non esserne subalterni, ma anche stimolo ad organizzarsi per non subirne gli effetti.

 

ILO – CENNI STORIOGRAFICI

L’ILO (International Labour Office, in Italia per un certo periodo fu conosciuta con l’acronimo francese BITBureau international du travail) fu creato nel 1919, come parte del trattato di Versailles che pose fine alla prima guerra mondiale, sull’onda di ideali, che si potrebbero definire “wilsoniani” che predicavano una pace universale e duratura. Una commissione alla Conferenza di pace di Parigi redige la Costituzione dell’ILO che diventa parte XIII del Trattato di Versailles e l’ILO diventa una delle agenzie della nascente Società delle Nazioni. Ne risultò un’organizzazione tripartita, l’unica nel suo genere che riuniva rappresentanti di governi, datori di lavoro e lavoratori nei suoi organi esecutivi.

Nel 1945 viene adottata una risoluzione che conferma il desiderio dell’ILO di entrare in una relazione con le Nazioni Unite e nel 1946 le Nazioni Unite e l’ILO firmano un accordo che rende quest’ultima la prima agenzia specializzata delle Nazioni Unite; in seguito l’ILO fondò l’Istituto internazionale di studi del lavoro con sede a Ginevra nel 1960 e il Centro internazionale di formazione a Torino nel 1965. L’Organizzazione vinse il Nobel per la pace nel suo 50° anniversario nel 1969.

Nel 1999, con l’obiettivo di informare meglio i policy-makers e i ricercatori sugli andamenti chiave del mercato del lavoro mondiale è stata costruita una base statistica per seguire in maniera “armonizzata” e “comparabile” l’andamento del mercato della forza-lavoro. Fino a quel momento l’ONU ed i suoi organismi come l’ILO raccoglievano dati provenienti dai paesi membri ma non interferivano con le modalità di rilevamento nazionali: di conseguenza li pubblicavano senza alcun commento o interpretazione, e ciò ne rendeva difficoltoso, se non impossibile, l’utilizzo, in particolare per valutazioni aggregate su scala mondiale. Quindi l’esigenza di poter avere a disposizione una base di dati più attendibile ha prodotto nel 1999 l’istituzione, nell’ambito dell’ILO, di una specifica attività detta KILM (Key Indicators of the Labour Market – indicatori fondamentali del mercato del lavoro), con lo scopo di generare una base dati confrontabile tra i vari paesi che potesse essere utilizzata per produrre stime globali e regionali. In sostanza il KILM elabora i dati ufficiali nazionali, effettua le necessarie stime, colma i buchi e le lacune, e inevitabilmente compie un lavoro “politico” che prima l’ILO non era autorizzato a fare. Di conseguenza da quell’anno va in pensione il vecchio annuario ILO, che dal 1921 collezionava le statistiche annuali, più o meno lacunose, senza effettuare correzioni.

Nell’ambito dell’iniziativa per il centenario dell’ILO, è stata creata una commissione globale per discutere e produrre un rapporto indipendente alla Conferenza internazionale del lavoro del 2019 sulle tendenze e le raccomandazioni sul mondo del lavoro e soprattutto sul suo futuro.


ONDE GRAVITAZIONALI:
LA SCIENZA PRODOTTO COLLETTIVO E INDUSTRIALIZZATO

Secondo diversi commentatori le onde gravitazionali sono la scoperta del secolo.

La loro misurazione è l’ennesimo esempio di come ormai la ricerca scientifica non può che essere un’impresa globale, frutto del lavoro coordinato di migliaia di tecnici, ingegneri, e scienziati dei cinque continenti. È una scommessa vinta grazie alla caparbietà dei teorici e alla perseveranza degli sperimentali. È l’emblema dell’accumulo del lavoro di più generazioni.

I protagonisti recenti sono l’interferometro italo-francese Virgo (sito a Cascina, Pistoia) e i due interferometri statunitensi LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) situati in Louisiana e nello stato di Washington.

Il 14 settembre 2015 LIGO misura per la prima volta il passaggio di un’onda gravitazionale. È un momento storico che giunge a 100 anni esatti dalla previsione di Einstein del 1915 contenuta nella Relatività Generale. LIGO e Virgo nel 2017 si sono poi uniti ponendo le basi per una rete mondiale: una straordinaria avventura scientifica che si è svolta per decenni nello scetticismo generale.

Cosa sono le onde gravitazionali

Le onde gravitazionali non sono onde che si propagano nello spazio, ma sono onde di spazio. Rappresentano la deformazione della struttura dello spazio-tempo che si comporta come un qualunque mezzo elastico. Solo che lo spazio è un mezzo molto duro da deformare. Infatti la Teoria della Relatività Generale di Einstein dimostra che la curvatura dello spazio è proporzionale all’energia tramite una costane molto piccola dell’ordine di 10-43. Per modificare la geometria dello spazio serve, quindi, molta energia. Non a caso le onde gravitazionali sono prodotte da eventi catastrofici, come ad esempio grandi masse che si scontrano (buchi neri, stelle di neutroni, ecc) o supernove che esplodono. Sono onde molto piccole, diecimila volte meno delle dimensioni di un protone e dunque di difficile rilevazione. Inoltre si propagano alla velocità della luce, che è sì molto elevata, ma pur sempre finita, pertanto è possibile risalire all’evento che le ha generate e fare nuove scoperte astronomiche.

Il lungo cammino verso la scoperta

Il primo ad ipotizzare che l’interazione gravitazionale possa propagarsi con velocità finita è il francese Pierre-Simon Laplace nel 1776 nel suo Sul Principio della Gravitazione Universale.

Per la derivazione matematica esatta delle onde gravitazionali dobbiamo arrivare al 1915 ad opera di Albert Einstein che ne prevede l’esistenza come conseguenza delle equazioni del campo gravitazionale.

Il primo tentativo sperimentale è degli anni ’50: lo si deve al lavoro di Joe Weber, fisico statunitense, che usa un cilindro metallico (o “barra”), come rilevatore.

Weber si pone come obiettivo quello di rilevare segnali brevi, circa un millisecondo, emessi in collassi di supernove, ma i suoi risultati vengono poi confutati. Poiché il rilevatore a barre è limitato dal rumore termico, all’inizio degli anni ’70 un altro fisico statunitense William Fairbank realizza una barra raffreddata a temperatura ultra bassa, 10 milliKelvin.

Poco tempo dopo Bill Hamilton negli Stati Uniti e Edoardo Amaldi e Guido Pizzella in Italia, costruiscono altre antenne criogeniche: Allegro in Usa ed Explorer a Ginevra.

Sempre negli anni ’70 appare un approccio alternativo ai cilindri di Weber. Usare l’interferenza della luce per monitorare il movimento relativo degli specchi che, in un interferometro, si comportano come due masse in caduta libera per cui un fascio di luce laser ne misura le oscillazioni quando sono attraversati da un’onda gravitazionale.

Il significativo salto di qualità è dovuto al fisico statunitense Rainer Weiss che, nel 1972, propone uno schema di rilevatore interferometrico e ne discute i principali limiti alla sensibilità: sarà tra i fondatori di LIGO.

Negli anni ’80 eleganti idee per migliorare la sensibilità degli interferometri vengono sviluppate da Ronald Driver e Brian Meers in Scozia, da Roland Schilling, Lise Schnupp, Albrecht Ruediger in Germania e da Alain Brillet e Jean-Yves Vinet in Francia.

In Italia Adalberto Giazotto propone di mettere a punto uno strumento sensibile alla gamma delle basse frequenze (10-100Hz). In questa banda, dove è più probabile rilevare segnali di coalescenza (fusione) proveniente da sistemi di buchi neri binari di massa stellare, la limitazione principale è dovuta al rumore sismico.

Giazotto lancia l’idea di costruire un “superattenuatore” per ridurre il moto microsismico di un fattore 10-15 alla frequenza di 10Hz. Successivamente Brillet ottimizza il progetto dell’interferometro ottico usando un laser a stato solido che sfrutta un cristallo invece di un gas per produrre luce coerente. Sulla base di queste esperienze negli anni ’90 si concretizzano i progetti attuali.

Un progetto veramente internazionale

LIGO è un sistema di due interferometri ciascuno con due bracci di 4 Km, perpendicolari tra loro e paralleli al terreno.

Virgo è un interferometro con due bracci di 3 Km.

LIGO è finanziato dalla National Science Foundation (NSF) degli Stati Uniti, è gestito da Caltech e MIT, che hanno ideato e realizzato il progetto. Il sostegno finanziario per il progetto Advanced LIGO è stato sostenuto dalla NSF, assieme a Germania (Max Planck Society), Regno Unito (Science and Technology Facilities Council STFC) e Australia (Australian Research Council), che hanno dato importanti contributi.

La collaborazione scientifica LIGO coinvolge 1238 scienziati per 108 istituti scientifici provenienti da tutto il mondo.

La tecnologia degli interferometri

Scopo dell’interferometro è quello di inviare un fascio di luce per poi dividerlo lungo due direzioni perpendicolari tra loro. Dopo una serie di riflessioni, deve accadere che il fascio si ricongiunga e, se le due parti che lo compongono si ricompattano nella maniera giusta, allora vuol dire che i due fasci hanno effettuato percorsi di lunghezza uguale con la stessa velocità.

Un’onda gravitazionale modifica la struttura dello spazio-tempo. Quindi oggetti distanti si avvicinano o si allontanano (in generale la loro distanza oscilla) quando la regione di spazio-tempo in cui si trovano è attraversata dalle onde. All’arrivo dell’onda, le lunghezze percorse dai due fasci non sono più le stesse. Quindi la differenza nella distanza percorsa all’interno dell’interferometro misura il passaggio dell’onda. La tecnologia in gioco in un interferometro come LIGO è di altissimo livello in quanto deve essere in grado di percepire un cambio di lunghezza di un braccio di 4 km anche pari ad un decimillesimo (10-4) delle dimensioni di un protone, il quale ha dimensioni di un decimiliardo di miliardesimo di metro (10-18 m). Dunque l’ampiezza dell’oscillazione è h=10-22 m. Inoltre più sono lunghi i bracci, più distanza deve percorrere la luce e quindi più facile diventa determinare differenze di lunghezze.

All’interno dei bracci c’è un dispositivo che si chiama cavità di Fabry-Perot. Si tratta di un sistema di specchi posto lungo ognuno dei due bracci che permettono di allungare le dimensioni fino a lunghezze molto grandi; ad esempio quello montato su LIGO permette di riflettere il fascio di luce 280 volte e dunque è come se i bracci fossero lunghi 1120 Km.

LIGO raggiunge la sua massima efficienza con un laser di potenza 750 kilowatt, ma il problema è che il laser usato da LIGO ha una potenza di soli 200 watt, che va dunque incrementata di 3750 volte. Per fare questo i fisici hanno fatto ricorso agli specchi, ossia la luce laser viene fatta passare più volte nella cavità di F-P in modo tale che venga continuamente rimessa in circolo nell’interferometro, dunque il numero di fotoni aumenta e pertanto anche la potenza del fascio. Il laser inoltre deve avere un segnale che sia il più possibile stabile, quindi schermato da terremoti, maree, condizioni meteo, ecc. Per ridurre le vibrazioni a zero si arriva a misurare il moto degli atomi che compongono gli specchi dentro l’interferometro, e ad intervenire di conseguenza. Inoltre il laser di LIGO ha una frequenza nell’infrarosso, ed è inevitabile che ciò deformi, se pur leggermente, gli specchi: i tecnici hanno allora introdotto un altro laser ad anidride carbonica che immediatamente rimette a posto lo specchio deformato dal laser ad infrarossi.

Le energie in ballo

Il primo evento registrato il 14 settembre 2015 è il prodotto della fusione di due buchi neri di massa 36 e 29 volte il Sole, il risultato finale è un buco nero di 62 masse solari. Le 3 masse mancanti si sono trasformate in energia. La quantità di energia emessa sotto forma di onde gravitazionali è circa 10 volte maggiore di tutta l’energia luminosa emessa da tutte le galassie osservabili nel nostro universo!

Finora sono stati registrati 6 eventi di onde gravitazionali, 5 provenienti dalla fusione di coppie di buchi neri e 1 dalla fusione di due stelle di neutroni. Quest’ultima misura ha rilevato insieme alle onde gravitazionali anche luce a varie frequenze (onde elettromagnetiche) e particelle (neutrini) aprendo la strada alla cosiddetta astronomia multi-messagero, nuova frontiera nello studio dell’universo ad alta energia.

A cosa servono le onde gravitazionali

Misurare le onde gravitazionali vuol dire anche individuare la sorgente e la distanza cui è situata. Poiché parliamo di distanze astronomiche la loro misurazione ci consente anche di capire quanta materia oscura ed energia oscura è presente nell’universo.

Nel primo avvistamento la coppia di buchi neri era distante 1,3 miliardi di anni luce.

Il loro studio ha consentito di confermare la teoria di Einstein, di porre le basi per testare l’eventuale unificazione tra la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica, di indagare la struttura interna delle stelle di neutroni (una delle fasi finali del collasso stellare), di confermare in via definitiva l’esistenza dei buchi neri (altra fase finale del collasso stellare), di misurare le caratteristiche dei neutrini (particelle ultra leggere che interagiscono poco o niente con la materia ordinaria), studiare la struttura delle galassie fino all’origine dell’universo.

Virgo

L’interferometro Virgo nasce all’interno del Consorzio EGO (European Gravitational Observatory), è stato ideato e realizzato dall’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e dal Centre National de la Recherche Scientifique francese (CNRS) con la partecipazione anche del Kikhef (Olanda), del Polgraw, Polish Academy (Polonia) e del Wigner Institute (Ungheria). Complessivamente sono coinvolti 21 laboratori in 6 paesi europei per 280 persone.

I bracci di Virgo hanno caratteristiche simili a quelli di LIGO: la loro lunghezza ha limitazioni soprattutto economiche, visto che 1 km in più per ogni braccio costa 20 mln€. Il progetto viene approvato nel 1994, ma la costruzione inizia nel 1996 ed è completato nel luglio 2003.

Il fatto che Virgo sia in Italia è un problema a causa dei terremoti che disturbano la misura. Per questo si è costruito un sistema di specchi sospesi a un sistema di isolamento sismico che è composto da tutta una serie di ammortizzatori collegati tra loro in fila, come una catena di pendoli.

Non solo, poiché la presenza di gas residuo nei bracci perturberebbe la misurazione, la luce laser deve propagarsi nei due bracci in regime di ultra-vuoto ossia a pressione di 10-12 atmosfere.

La spesa si aggira intorno ai 10 mln$ all’anno, assumendo che possa andare avanti per circa 20 anni il costo totale è di 200 mln$.

Alla rete mondiale di interferometri si aggiungerà quello indiano IndIGO (4 km di bracci) e il giapponese KAGRA che è costruito sottoterra; come pure sottoterra è l’Einstein Telescope, progetto finanziato dalla UE, che ospiterà interferometri da 10 km e aumenterà di 1 milione di volte il volume di spazio osservabile rispetto a Virgo e LIGO.

LISA, un interferometro nello spazio

La Terra non è certo il miglior posto dove costruire un interferometro, la cosa migliore sarebbe farlo nello spazio.

LISA (Laser Interferometer Space Antenna) è l’ultima frontiera degli interferometri. Per ora è solo un progetto per il 2034. Funziona come qualsiasi altro interferometro, ma il sistema è composto da tre sonde nello spazio poste in una configurazione a triangolo equilatero, che si inviano laser a vicenda. In pratica ha tre bracci, ognuno è lungo 2,5 milioni di Km.

Conclusioni

La ricerca sperimentale sulle onde gravitazionali ha consentito di sviluppare tecnologie interferometriche con ricadute sulle tecniche criogeniche, sullo studio del rumore termico, del rumore sismico, le tecniche per il vuoto, i laser, i materiali degli specchi riflettenti e la loro levigatura (si è arrivati ad ottenere una rugosità residua di 0,2 nanometri).

Dal 2017 LIGO e Virgo hanno firmato un accordo per lo scambio reciproco di tutti i dati. La scienza sopporta sempre meno gli angusti confini nazionali, ed è sempre più opera collettiva e industrializzata.


Le opere citate in questa pagina:

Onde gravitazionali, Sandro Ciarlariello, CentoAutori, 2017
Alla scoperta delle onde gravitazionali, Fulvio Ricci, Dedalo, 2018
Le onde gravitazionali, Federico Ferrini, Il Mulino, 2018
I buchi neri, Steven Scott Gubser e Frans Pretorius, Boringhieri, 2018
La musica nascosta dell’universo, Adalberto Giazotto, Einaudi, 2018
Onde nello spaziotempo, Govert Schilling, Codice, 2018
L’era delle onde gravitazionali, Giovanni Losurdo e Fulvio Ricci, Le Scienze, ottobre 2017
Arrivano le onde, Davide Castelvecchi, Le Scienze, agosto 2018
Messaggeri dal cielo, Ann Finkbeiner, Le Scienze, agosto 2018