A dieci anni dall’inizio della crisi merita attenzione il dibattito sugli effetti sociali che si stanno determinando. In questo numero vogliamo mettere a fuoco le conseguenze della crisi sulle retribuzioni.
Nell’ultimo decennio, secondo l’ISTAT, il potere di acquisto delle famiglie si è ridotto dell’8% ed in maniera differenziata secondo i settori; è riconosciuto che le retribuzioni reali non hanno ancora ripreso i livelli del 2007. (Annotazione importante: Salari e stipendi reggono meglio dove la contrattazione nazionale continua a funzionare).
Vediamo alcune sintesi prese dal dibattito in corso.
SOMMARIO
Titolo | pag. |
Le retribuzioni post crisi: un bilancio necessario | 1 |
Coordinamento europeo dei consigli di fabbrica della siderurgia | 2-3 |
STMicroelectronics: costituito il Coordinamento Sindacale Mondiale | 4-5 |
Suez acquisisce GE Water | 6-7 |
News dal Coordinamento | 7-8 |
LE RETRIBUZIONI POST-CRISI: UN BILANCIO NECESSARIO
Secondo Mauro Magatti, docente alla Cattolica di Milano: “è come se con la crisi del 2008, le cui conseguenze sono tuttora vivissime non solo in Italia, si sia spezzato un equilibrio sociale.” E aggiunge che la perdita di peso del monte salari rispetto al PIL va avanti almeno dagli anni Novanta. Nei paesi industrializzati “per ogni 100 dollari, o euro, di valore aggiunto complessivo, la quota di ricchezza distribuita al lavoro è passata dal 63-64% al 55-56% negli ultimi vent’anni.” (La Repubblica 23/10/17).
Il nuovo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale sostiene per i paesi sviluppati che “la crescita dei salari nominali resta marcatamente sotto i livelli precedenti la grande recessione del 2008-2009”. È evidente dunque da chi sia stato pagato il conto della crisi.
Negli ultimi tempi sono state le stesse autorità monetarie, che in passato predicavano la moderazione salariale, ad auspicare un aumento delle retribuzioni. Si sono pronunciati in tal senso la Banca d’Italia di Ignazio Visco, ed in più occasioni la BCE di Mario Draghi. La stessa Christine Lagarde che guida il FMI ha riconosciuto che “stiamo facendo pressioni su molti Paesi perché aumentino i salari minimi”. Anche per Carlo Cottarelli, agli Annual Meeting del FMI, la risposta è la medesima: “Globalizzazione e sviluppo tecnologico tendono a spostare la distribuzione del reddito verso il capitale. Un aumento dei salari e stipendi della classe media porterebbe a una distribuzione del reddito meno squilibrata” (La Repubblica 11/10/17). È evidente che queste fonti non puntano alla difesa degli interessi dei lavoratori dipendenti, ma sono costrette a rilevare la necessità di agire sulla ripresa in corso con l’aumento dei consumi, quindi l’inflazione.
Le aziende piccole e grandi, dalla loro visuale, per reggere la concorrenza hanno chiesto ed ottenuto un abbassamento dei livelli retributivi, riducendo fortemente gli aumenti dovuti alla contrattazione nazionale ed indicando nella contrattazione aziendale, legata ai risultati, la strada per ottenere l’aumento di stipendi e salari. In realtà sappiamo che la contrattazione aziendale è attuata in una minoranza di aziende e non è affatto scontato tradurre gli aumenti di produttività in aumenti in busta paga per i lavoratori. Nei fatti, escludendo situazioni specifiche, abbiamo in realtà assistito ad un blocco salariale.
Sono stati fenomeni comuni a tutto il mondo cosiddetto “sviluppato”. Come per altri fenomeni sociali, nello squilibrio italiano, anche questi risultano ancor più accentuati: come si vede bene dal grafico, lo stipendio mensile dei laureati italiani si colloca abbondantemente sotto la media dei paesi più sviluppati.
È un paradosso ma, fino ad ora, al dibattito non hanno preso a parte i diretti interessati, cioè i lavoratori, e neppure quelli che dovrebbero rappresentarli. Ma continuiamo la nostra rassegna.
Skills Mismatch
Secondo Maurizio Cremonini, responsabile marketing Comau: “Pensare, realizzare, fare funzionare l’architettura della fabbrica oggi è un lavoro complesso che richiede fortissime competenze tecniche. Ma le tecnologie evolvono velocemente e le pur necessarie specializzazioni diventano obsolete: senza una preparazione ampia è difficile stare al passo”. Industria 4.0, big data, cloud computing, robotica d’avanguardia, stanno modificando produzione, prodotti e lavoro. La cosiddetta moderna manifattura, l’Advanced Manufacturing ha bisogno di occupazione con profili STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Ma lo Skills Strategy Diagnostic Report OCSE 2017, afferma che l’Italia ha maggiori difficoltà rispetto ad altre economie avanzate nell’attuare la transizione necessaria alle evoluzioni tecnologiche. Solo il 20% della popolazione tra i 25 e i 34 anni è laureato contro la media OCSE del 30%. Inoltre il 27% ha competenze inferiori alle mansioni che svolge, mentre quasi il 30% ha competenze superiori. Appunto uno Skills mismatch, un disallineamento tra competenze richieste e possedute. In sintesi si può dire: pochi laureati in generale, troppo pochi nelle materie scientifiche e anche “maltrattati”. Secondo Mattia Macellari, il presidente dei Giovani imprenditori di Assolombarda, “abbiamo salari di ingresso per chi ha in tasca una laurea troppo simili a quelli dei diplomati, inferiori del 30-40% a quelli degli altri paesi europei. Molti laureati fuggono all’estero perché pagano meglio”.
Il rapporto OCSE citato indica per l’Italia la necessità di investimenti nell’istruzione universitaria ma anche in quella superiore e nella formazione professionale. Adeguare il sistema di formazione scolastico alle mutate esigenze del mercato della forza lavoro è un tema non nuovo ma che oggi, in una fase di così forte cambiamento dei sistemi produttivi, diventa necessità non rinviabile.
Interessante è invece una seconda considerazione del rapporto che affronta il medesimo problema da un altro punto di vista. La trappola del low skills equilibrium: “la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una scarsa domanda di competenze da parte delle imprese. Le piccole aziende, spesso a conduzione familiare, rappresentano oltre l’85% delle imprese e il 70% dell’occupazione. Spesso tuttavia i manager di molte aziende a conduzione familiare non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse”. In Italia il problema della scarsa concentrazione dell’industria si conferma come un elemento determinante nella mancata crescita della produttività. Il sistema “piccolo è bello”, basato su aziende familiari con dipendenti poco qualificati con basse retribuzioni non può essere il futuro.
Gli aspetti strutturali per la rivendicazione di aumento delle retribuzioni
Concludiamo le nostre osservazioni aggiungendo alcuni aspetti su cui riflettere e su cui agire.
- Se la ripresa si consolida, si apre una fase che implica una crescita economica quindi più utili per le aziende, ma anche necessità di lavoratori, in particolare di lavoratori qualificati.
- Occorre considerare le dinamiche demografiche in particolar modo la bassa natalità con gli effetti già visibili sulle leve dei lavoratori occupati. Secondo l’ISTAT nel corso dell’anno 2016 sono venuti a mancare, solo per la dinamica demografica, 244 mila occupati di età compresa fra i 15 e i 49 anni. Il dato illustra un problema che non è solo italiano ma europeo. La Germania ad esempio, dove il problema è ancora più accentuato, cerca di risolverlo favorendo l’immigrazione in particolare quella già qualificata, e investendo sulla formazione dei nuovi arrivati. Nonostante la necessità vitale, il tema dell’immigrazione in tutta Europa è spesso utilizzato da campagne populiste, razziste e xenofobe per guadagnare qualche voto in più. Mentre la combinazione tra il calo demografico e la mancanza di formazione in certi settori, rischia di produrre “voragini”. Secondo l’istituto Prognos in Germania potranno mancare nel 2030 circa tre milioni di lavoratori qualificati, soprattutto ricercatori, ingegneri e personale di assistenza. L’UE stima 900 mila posti di lavoro vacanti legati al digitale già nel 2020.
- L’Osservatorio industria 4.0 del Politecnico di Milano ha analizzato un campione di aziende attive sui nuovi investimenti. Tra il 2010 e il 2015 la produttività è cresciuta del 25% salendo da 73.600 a 92.200 euro di valore aggiunto per dipendente. Mentre l’aumento dei salari è cresciuto solo del 10% e si porta da 50 mila a 55 mila euro per dipendente. Quindi la produttività cresce più del doppio della crescita degli stipendi. (Il Sole 24 ore del 12/10/17)
- Sembrano confermati gli incentivi del piano Industry 4.0 del governo. Significa prevedere ancora il super o l’iperammortamento per le aziende che investono, ovvero generosi sgravi contributivi, con dubbi risultati. Quindi, aggiungiamo noi, spazio per incrementi sul fronte dei salari e stipendi.
- Nel libro “L’inganno generazionale” dell’Università Bocconi Editore, uscito a maggio, si riportano considerazioni, tra le altre cose, sull’allungamento della vita media. La proposta per affrontare lo “tsunami” della ampia generazione dei baby boomers che andrà in pensione nei prossimi anni, e per evitare pensioni troppo basse per chi resterà ancora al lavoro, è molto semplice: stipendi più alti e di conseguenza più contributi per le future pensioni e per pagare le pensioni in essere, in un sistema che vede già oggi per ogni 100 lavoratori attivi 71 pensionati.
Alcune considerazioni: il tema dell’aumento salariale si pone nei fatti ma non è sufficiente perché si concretizzi. Dobbiamo evidenziare che purtroppo le organizzazioni sindacali non stanno cogliendo gli elementi che abbiamo messo in evidenza, e quindi non sono in grado di impostare un’azione conseguente. Il sindacato, per motivi oggettivi, ma anche per scelte che mirano alla pura conservazione di se stesso, sta scivolando sempre più nell’irrilevanza. La conseguenza è che spesso viene considerato dai nostri colleghi stessi come qualcosa che non li riguarda. Inoltre, molte campagne apparentemente neutre, ma secondo noi interessate, “consigliano” di farne a meno.
Non ci sono scorciatoie o facili ricette, rimane il fatto che solo l’organizzazione sindacale attraverso la contrattazione collettiva può dare forza rivendicativa, e nei momenti di crisi difendere e tutelare. Non aspettiamo però le soluzioni dall’alto delle strutture sindacali, bisogna scendere in campo direttamente senza delegare. Nelle metropoli avanzate, come tecnici produttori siamo sempre più determinanti nei processi produttivi, possiamo essere determinanti anche nelle rivendicazioni a condizione di essere punto di riferimento per i nostri colleghi. Il bollettino documenta esperienze interessanti e positive: possiamo affermare che, per la loro riuscita, il nostro impegno ha fatto la differenza. È la dimostrazione che ci sono volontà, esperienze, capacità e disponibilità per allargare il nostro coordinamento. Partendo dalle considerazioni riportate, non possiamo permettere che il dibattito sui nostri stipendi rimanga fra chi ha contribuito a decurtarli e chi la moderazione salariale l’ha teorizzata come necessaria. Dobbiamo portare queste argomentazioni fra i colleghi, arrivare a rivendicazioni estese che abbiano al centro l’aumento delle retribuzioni: non sarà facile, ma possibile.
COORDINAMENTO EUROPEO
DEI CONSIGLI DI FABBRICA DELLA SIDERURGIA
Dall’Introduzione al primo numero del bollettino dell’acciaio
Il 12 giugno 2017 si sono incontrate a Genova delegazioni di IG Metall e della FIOM CGIL per discutere gli effetti che la ristrutturazione della siderurgia europea sta producendo sulle condizioni occupazionali e salariali dei lavoratori siderurgici europei e delle possibili azioni comuni da intraprendere per evitare che ancora una volta siano solo i lavoratori europei a pagare il prezzo delle riorganizzazioni in atto. I partecipanti concordano sulla necessità di dare vita ad un “Coordinamento Europeo dei Consigli di Fabbrica” della siderurgia. Questa azione è resa ancora più urgente dalla oramai quasi certa acquisizione di ILVA da parte di ArcelorMittal, e oggi ancor più significativa grazie alla presenza dei rappresentanti di ThyssenKrupp. La ristrutturazione europea in corso crea una interdipendenza oggettiva, una combinazione di impianti che si condizionano e si influenzano tra loro. Parallelamente arche l’attività sindacale, le lotte locali, fino ad arrivare alle condizioni di lavoro, in questi impianti europei, si condizionano tra loro. È possibile e necessario avere più consapevolezza di questi processi da parte dei lavoratori europei. È possibile un’azione sindacale combinata che tenga conto di questa situazione, che comunque esiste oggettivamente. Proprio perché è la realtà, le strade sono sostanzialmente due: o tenere conto di questa combinazione e utilizzarla, o altrimenti subirla. Per questo è necessario un coordinamento formato dai delegati di fabbrica e dai rappresentanti dei lavoratori nei vari stabilimenti, un coordinamento non in contraddizione con le attuali strutture sindacali europee esistenti ma che, anzi, abbia la funzione di contribuire ad accelerare la formazione di un vero sindacato europeo. Siamo consapevoli che lavorare per costruire l’unità dei lavoratori europei rappresenta una partita molto difficile, ma non più rimandabile perché, mentre l’economia si integra e l’Europa si unifica, l’unità di azione dei lavoratori è molto in ritardo. I principi di qualsiasi sindacato sono la difesa del lavoro, del salario e la solidarietà tra i lavoratori, nessun esubero in tutta Europa. La difesa di questi principi per i lavoratori europei è la necessità pratica, e questo Coordinamento si prefigge di promuoverla.
STMICROELECTRONICS
Costituito il Coordinamento Sindacale Mondiale / Trade Union Network
Si è tenuta a Grenoble il 21-22 settembre la prima riunione del Coordinamento Sindacale Mondiale/Trade Union Network dei sindacati affiliati a IndustriAll presenti in ST Microelectronics. La riunione presieduta dal direttore per il settore elettronica di IndustriAll Kan Matsutzaki ha visto la partecipazione di 25 delegati sindacali da Italia, Francia, Malta, Marocco e Malesia.
360 chilometri, circa 5 ore di macchina, separano Grenoble, paesone della Francia, da Cornaredo, paesino del Nord-Ovest di Milano. Agli estremi quattro stabilimenti della ST Microelectronics, industria di microelettronica di circa 43 mila dipendenti nel mondo di cui circa 10 mila impiegati nei poli di Grenoble (che comprende anche Crolles) e Milano (Agrate e Cornaredo).
Negli anni ’90 è iniziata l’attività che ha portato ad avere un coordinamento sindacale stabile ed il CAE (Comitato Aziendale Europeo). Quel tragitto è stato percorso molte volte, i primi incontri per conoscersi, ponendosi obiettivi che sembravano veramente lontani. La costanza ci ha premiati, siamo arrivati ad avere un coordinamento, con azioni comuni e persino iniziative di sciopero comuni.
Rapporti nati in una situazione difficile che si sono cementati. Importate è stata la partecipazione di una delegazione italiana al presidio in Grenoble, così come il sostegno partecipato ad Agrate da parte dei colleghi di Grenoble. Abbiamo organizzato incontri e seminari comuni sulla microelettronica in generale o sulla condizione dei lavoratori nelle diverse realtà: un coordinamento utile e proficuo, allargato agli altri paesi europei grazie al CAE.
Nei primi anni del 2000, dei circa 20.000 colleghi nel resto del mondo si conoscevano solo i numeri. Saputo che in Marocco ed in Malesia c’erano problemi ad insediare una rappresentanza sindacale, forti delle esperienze precedenti, abbiamo contattato i nostri colleghi per dare loro la nostra solidarietà attiva. Questo primo contatto è stato proficuo ed ha portato ad un coordinamento stabile on-line ed alla creazione di un network sindacale.
A fronte di questi risultati, nel 2016 IndustriAll ha proposto di creare e formalizzare un Trade Union Network. Il primo incontro ristretto è del settembre 2016, finalmente abbiamo potuto dare un volto alle voci sentite in tante call. Sono seguite altre iniziative di scambi e confronti, organizzate prima in Italia, poi ripetute dai colleghi francesi.
L’incontro di settembre è stato il risultato di tanta preparazione, il “primo” vero incontro come TUN, 25 partecipanti (in maggioranza tecnici ed il resto delegati operai) in rappresentanza di 9 realtà: Grenoble, Crolles e Rousset (Francia), Castelletto, Agrate e Catania (Italia), Muar (Malesia), Bouskoura (Marocco) e Malta.
Aspetti comuni in tutte le realtà sono stati i temi trattatati e discussi. Sicurezza sul lavoro, con il confronto delle diverse realtà; condizioni di lavoro in generale; disparità di genere ed handicap. Ci siamo posti un obiettivo “ambizioso”: la stipula di un accordo “mondiale” (il Global Framework Agreement) che permetta anche di presidiare e controllare l’applicazione dei codici di condotta di ST.
Emblematico è il comportamento della direzione ST rispetto al meeting: invitata a discutere il codice si è gentilmente defilata in quanto: “Pur garantendo la libertà di organizzazione dei lavoratori, questa, poteva essere meglio esercitata attraverso le specificità locali” e quindi non in un consesso internazionale come il TUN. Per l’azienda l’attività sindacale si deve svolgere nel proprio contesto e nel proprio paese, su questo filone è stata anche negata la possibilità di far visitare lo stabilimento i colleghi delle delegazioni estere.
Ma ormai il percorso è tracciato: raggiunta questa tappa affronteremo le nuove difficoltà e le iniziative di contrasto che sicuramente arriveranno. Con i pochi mezzi a disposizione dalle organizzazioni sindacali porteremo avanti quanto ci siamo prefissi sempre più convinti di un concetto semplice: un diritto che i colleghi fuori dall’Europa si conquistano sarà un diritto in meno che in Europa ci verrà richiesto di cancellare, mentre un diritto in più conquistato in Europa può essere un diritto che può essere esteso al resto del mondo.
Per noi il tutto ha avuto inizio nel marzo scorso quando la direzione Suez ha convocato il Comitato Aziendale Europeo (CAE) per una riunione straordinaria. La convocazione, non motivata, aveva già un carattere di eccezionalità; durante la riunione siamo stati informati che Suez avrebbe acquisito GE Water, quindi tutto il settore acqua di GE. La presentazione ci è stata illustrata direttamente dal CEO di Suez che ha esposto le motivazioni ed i dati di base dell’acquisizione definita strategica. Il piano presentato prevedeva l’acquisizione formale per fine luglio del 2017, e così è stato, ma evidenziava che la completa integrazione avrebbe richiesto almeno un ulteriore anno.
Quindi un’operazione importante e complessa che rientra nel quadro delle concentrazioni dei settori strategici per il prossimo futuro quale è quello dell’ambiente ed in particolare quello della gestione dell’acqua. Caso tipico in cui, in accordo a quanto previsto dalle normative Europee, il CAE è tenuto a dare il proprio parere seppur non vincolante. Parere a cui siamo pervenuti dopo un percorso che ha richiesto più riunioni e confronti sia interni al CAE, che in seduta plenaria con la presenza del CEO di Suez. Una vicenda interessante da più punti di vista di cui vogliamo rendervi partecipi considerando che porterà conseguenze per tutti i colleghi di Suez, e che nell’integrazione saranno coinvolti maggiormente proprio i nostri colleghi ingegneri e tecnici.
Le origini di Suez
È importante ricordare che Suez ha una storia ultrasecolare, che affonda le sue origini nel capitale finanziario francese/europeo dalla prima metà dell’Ottocento. La sua storia è intrecciata con la storia delle grande famiglie della imprenditoria francese e dell’industria Europea, tra i quali Société Générale de Belgique, Suez Lyonnaise des Eaux, Suez Gaz de France.
L’origine si può datare al 1822 in Olanda con la creazione della Société Générale de Belgique et des Pays-Bas. Da questa società nel 1858 Ferdinand de Lesseps fonda settori energetici diversi da Gas Parigi, come la Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez . Il nome Suez è venuto dalla sua partecipazione alla creazione del canale di Suez.
Da GDF Suez a Engie e Suez Environnement
Lasciando la storia secolare, con una serie di vicissitudini legate alla concentrazione del settore energetico in Europa su cui varrà la pena tornare, arriviamo al 2006: è un anno con un passaggio importante in quanto, con la fusione di Suez e Gaz de France, nasce GdF SUEZ.
La fusione con GdF è stata una mossa difensiva, intesa a sottrarre Suez alla tentata OPA dell’italiana ENEL in tandem con la francese Veolia (concorrente storica). La fusione è avvenuta attraverso un percorso non semplice, durato più di 2 anni, con battaglie politiche e controversie legali che hanno visto coinvolto il governo francese, Bruxelles e l’antitrust tedesco.
In quell’occasione viene ceduto il settore ambientale sia idrico che dei rifiuti, mantenendone comunque il controllo con il 35% delle azioni. Si costituisce così “Suez Evironnement”. Negli anni successivi, venendo meno il patto di sindacato fra le due società “Suez Environnement” diventa autonoma rispetto a GdF Suez.
Nell’aprile del 2015 GdF Suez, che nel frattempo è diventata uno dei leader mondiali nel settore energia, per caratterizzarsi meglio come gruppo energetico cambia il nome commerciale, rinunciando a Suez e divenendo Engie.
Da Suez Environnement a Suez
Sarà proprio Suez Environnement ad acquisire il marchio Suez costituendo l’attuale denominazione commerciale, ed accorpando tutte le società operative sotto un unico brand.
Suez tramite acquisizioni e crescita è divenuto uno dei leader mondiali nel campo ambientale con la gestione delle acque e dei rifiuti. In Europa è seconda dopo Veolia: le sue principali controllate, oggi accorpate sotto il brand Suez, erano: SITA per il ciclo dei rifiuti, Degrémont, (progettazione, costruzione e gestione di impianti di depurazione), la società di consulenza SAFAGE, Ondeo Industrial Solutions, la Lyonnaise des Eaux, per il ciclo di acqua in Francia, altre minori ed infine Agbar per il ciclo acqua in Spagna con un fatturato di circa 15 miliardi di euro, circa 80.000 dipendenti nel mondo e 55.000 in Europa.
Suez acquisisce GE Water
Partendo da questa posizione, l’acquisizione mira ad un rafforzamento importante del settore industriale del trattamento delle acque, da sempre punto di debolezza del gruppo. Secondo l’informativa questo porterebbe a:
- Rafforzamento dell’attività clienti industriali (segmento a forte potenziale di crescita). Con un apporto di quasi 2 miliardi di euro, la quota dell’attività con i clienti industriali salirebbe a circa il 40%, rispetto all’attuale 34%. Colleghi provenienti da GEW circa 7.500, così distribuiti: in Europa 1.800, stati uniti 3.500, Asia 900, America Latina 500, altri minori.
- Una più forte presenza internazionale. GE Water opera in 130 paesi, con il 52% dell’attività svolta negli Stati Uniti e il 30% nei paesi emergenti. Il gruppo potrebbe pertanto aumentare le proprie attività oltre i confini europei (circa il 38% rispetto al 33% di oggi).
- Sviluppo della digitalizzazione delle attività grazie ad un’offerta di servizi digitali integrati (gestione delle performance, gestione del ciclo completo…).
- Creazione di una nuova divisione, Acqua Industriale, che riunirà le attività di Suez e quelle di GE Water. Questa sarebbe una società francese detenuta al 70% dal Gruppo Suez e per il 30% da un fondo d’investimenti Canadese. In questa nuova società confluirebbero le ex attività acqua Industriale di Suez e le attività di GEW, per un totale di 10.000 dipendenti, con questa acquisizione i dipendenti Suez arriveranno ad essere 90.000 circa.
Analisi e valutazione da parte del CAE
Queste erano le premesse. Vista l’importanza dell’operazione, e volendo esprimere un parere più ponderato possibile, si è deciso di chiedere un’analisi ed una valutazione alla società di consulenza, qualificata e riconosciuta, a cui ci rivolgiamo quando è necessario un approfondimento da parte di esperti. A fronte di una dettagliata analisi ci sono pervenute le considerazioni e le valutazioni che qui sintetizziamo:
- Globalmente, non sembra che il progetto comporti rischi di perdita di posti di lavoro per tre motivi principali: le attività e gli insediamenti geografici sono abbastanza complementari; si tratta effettivamente di un progetto di crescita come dimostrato dalle previsioni finanziarie comunicate; GE Water opera all’interno di un gruppo molto centralizzato e si avvale di risorse che bisognerà ricostituire all’interno della nuova divisione ed in generale all’interno del gruppo Suez.
- Questa visione globale deve includere alcune implicazioni sociali generate dai seguenti fattori: il raggruppamento delle funzioni di supporto è di difficile valutazione, in quanto l’organizzazione operativa non è ancora definita nel dettaglio, pur sapendo che alcune di queste funzioni sono incluse nelle potenziali sinergie (servizi generali, amministrazione, acquisti, commerciali, ecc.).
- Viene messo in evidenza che la differenza tra le modalità organizzative di Suez e GEW (ripartizione geografica rispetto alla ripartizione per attività) comporterà importanti implicazioni per i vertici della Società.
Con queste promesse il CAE ha espresso un parere favorevole all’unanimità, chiarendo che: “Questa integrazione consentirà di potenziare ulteriormente lo sviluppo a livello internazionale. Saremo vigili affinché ciò non avvenga a scapito degli investimenti e dello sviluppo delle attività e, quindi, dei posti di lavoro”.
Suez in Italia
Con l’acquisizione di GE Water In Italia Suez opererà con due differenti divisioni:
- International, composta principalmente dal settore acqua con società ex Degrémont a Milano, Nuove acque e Acque Toscana in Toscana, con una importante partecipazione, 24% circa, in ACEA, avendo rilevato le azioni possedute precedentemente da GDF Suez, ed acquisendo successivamente le azioni possedute dal gruppo Caltagirone.
- Suez Water Technologies and Solution. L’acquisizione ha portato alla creazione anche in Italia di una divisione industriale con la creazione di una newco, denominata Suez Water Technologies and Solution, attraverso la quale saranno controllate le 3 società GE Water presenti in Italia, che rappresentano circa 120 colleghi.
Il passaggio di 30 colleghi alla newco è stato gestito sindacalmente come RSU, FIOM territoriale ed in contatto con i colleghi stessi. La negoziazione con la direzione ha portato ad una comunicazione congiunta che in termini di garanzie occupazionali, certo teorica e non illusoria, è andata oltre le tutele dell’ex art. 47 L. 428 / 90 previste per i casi di cessione di ramo d’azienda.
Considerazioni
Con questa acquisizione la presenza di Suez in Italia diventa più importante, anche se rispetto alla Francia ed alla Spagna molto più limitata a causa di un mercato parecchio frammentato e in gran misura controllato direttamente dagli Enti Pubblici.
Anche da questa vicenda emerge che i grandi gruppi con la loro organizzazione sempre più superano i confini nazionali ed anche quelli continentali. Possiamo ritenere che, in questo caso, il coordinamento fra i colleghi ed il CAE ci ha aiutati a gestire un episodio della concentrazione del settore controllando che almeno in questa fase di integrazione e di riorganizzazione non vi siano ricadute negative sui colleghi.
Dobbiamo mettere in evidenza che le attuali strutture sindacali (escludendo i CAE che hanno funzioni molto limitate), si basano sui confini nazionali, e non sono quindi adeguate e sufficienti ad affrontare un futuro sempre più globalizzato dominato da colossi economici ed industriale di portata mondiale. Anche da questa esperienza trova conferma la necessità di arrivare ad un coordinamento più efficace ed a sindacati strutturati almeno a livello europeo.
ABB: ristrutturazione e sviluppo
Le grandi multinazionali si muovono sul mercato mondiale in modo apparentemente contraddittorio, infatti crisi e crescita, acquisizioni e ristrutturazioni coesistono nello stesso tempo in aree geografiche e settori diversi. ABB, la multinazionale svizzera del settore energia e automazione, non contraddice questa dialettica. Nel 2016 il gruppo ha avviato una profonda ristrutturazione dei processi amministrativi per arrivare ad una loro centralizzazione. La “White Collar Productivity” ha generato migliaia di esuberi in tutta Europa, e quasi 200 in Italia. Come già rilevato lo scorso anno la mobilitazione per la difesa del posto di lavoro aveva visto, per la prima volta, anche la presenza significativa dei colleghi impiegati del sito di Sesto San Giovanni.
A questa ristrutturazione ancora in corso, si aggiungono quelle di altri settori determinate dal mercato mondiale. In particolare quelle legate al settore Oil & Gas, hanno già determinato circa 150 esuberi nella fabbrica di Vittuone, per la riorganizzazione della produzione motori e la vendita della Business Unit EPC che ha sede a Sesto San Giovanni e che impiega più di 200 persone, in maggioranza tecnici e ingegneri, che si occupa di progetti chiavi in mano nel settore. Quest’ultima operazione, fatta attraverso una joint venture ad hoc con una società saudita, lascia numerosi dubbi sul futuro dei lavoratori.
Difficoltà in alcuni settori ma sviluppo in altri, infatti ABB sta procedendo con investimenti miliardari ad un riposizionamento e rafforzamento di specifici business. Alcune novità in questo senso. Nell’aprile di quest’anno ha annunciato l’acquisizione di B&R (società austriaca leader nel settore dell’automazione industriale) per un valore vicino ai 2 miliardi di euro. Dopo pochi mesi, a settembre, c’è stato l’annuncio dell’acquisizione di GE Industrial Solutions, il comparto di GE che si occupa di reti e distribuzione elettrica. Il prezzo d’acquisto è di circa 2,7 miliardi di euro. Sia GE Industrial Solution che B&R sono stati acquisiti con operazioni cash a dimostrazione della grande liquidità a disposizione del gruppo. Crisi e crescita, acquisizioni e cessioni, con perenni ristrutturazioni pagate dai colleghi spesso con il peggioramento delle condizioni di lavoro o addirittura con la perdita dell’occupazione. I tanti colleghi ingegneri e tecnici non sono immuni da tali processi, anzi in molti casi sono quelli che maggiormente ne hanno subito le conseguenze. A fronte di processi di tale portata anche per i colleghi più qualificati non è più tempo di soluzioni individuali. Ormai è dimostrato, solo con la coalizione tra i colleghi si può incidere positivamente, sia nei casi di difesa del posto di lavoro, così come per le legittime richieste salariali e di miglioramento delle condizioni di lavoro.
Un esempio è il rinnovo del contratto di secondo livello. Il CCNL del 2016 delega a livello aziendale i miglioramenti retributivi. Avremmo preferito che i miglioramenti fossero determinati dal contratto nazionale, ma stando così le cose una piattaforma rivendicativa comune per l’intera ABB Italia diventa tappa obbligata. Le organizzazioni sindacali stanno andando in questa direzione, bene, ma dobbiamo purtroppo rilevare che già all’interno delle organizzazioni sindacali iniziano i distinguo, con richiami a “non esagerare con le richieste economiche”, visto che la situazione della società non è rosea. Niente di nuovo sotto le stelle. La rivendicazione per tutta l’Italia può diventare, invece, un momento unificante per tutti i colleghi e di confronto con la direzione di ABB a condizione però che la piattaforma abbia un contenuto economico importante, che colga quanto previsto dal CCNL stesso, e che sia potata avanti con determinazione.
Ci siamo difesi ma abbiamo pagato pesantemente la ristrutturazione, adesso è il momento di rivendicare una parte dei risultati economici della società, frutto anche del White Collar Productivity.
Nokia: è questa la modernità?
Nokia è un nome noto in tutto il mondo, si presenta come moderna, tecnologica, capace di reinventarsi, attenta ai propri dipendenti, quasi centomila nel mondo. Ma dal punto di vista dei propri dipendenti è proprio così?
Anche gli ultimi avvenimenti, non solo in Italia, confermano che, dal punto di vista del rapporto con la forza-lavoro, non c’è molto di moderno. In Italia l’ennesimo piano di ristrutturazione si sta per concludere con decine di licenziamenti.
A questi colleghi, dopo mesi di cassa integrazione, viene lasciata la libertà di scelta tra uscire “volontariamente” o essere licenziati. Non è la prima volta, e temiamo non sarà l’ultima. L’integrazione tra Alcatel-Lucent e Nokia non ha finito di produrre i suoi effetti, fatti soprattutto di razionalizzazioni e delocalizzazioni, con ovvie conseguenze negative sull’occupazione. Da questa vicenda negativa la conferma di un insegnamento: non sarà questo o quel ministero, questo o quel personaggio, a togliere le castagne dal fuoco ai lavoratori, se non sono i lavoratori stessi a prendersi cura della propria sorte.
Di recente sono stati presi di mira anche i colleghi di Nokia Technologies, l’azienda del gruppo che si occupa di ricerca, e che contiene i blasonati Bell Labs: centinaia di tagli annunciati in Finlandia, UK e USA, tra i ricercatori impiegati sulle attività più innovative, “perché il mercato cresce meno del previsto”. L’ennesima conferma che anche i colleghi più qualificati, in un mercato sempre più caotico e globalizzato, sono a rischio.
Occorre guardare in faccia la realtà, senza farsi distrarre dagli specchietti per le allodole, siano esse le “attività ricreative” organizzate dall’azienda, per farci camminare di più, o i gadget che Nokia cerca di vendere a noi dipendenti (sì, sono in vendita, non in omaggio ai dipendenti). Siamo attratti dalla nostra professione, svolgiamo con attenzione e spesso con passione la nostra attività, ma la nostra condizione sociale deve spronarci ad approfondire la realtà con la stessa attenzione e passione, e di conseguenza organizzarci per non subire passivamente le contraddizioni derivanti dal caos mondiale che caratterizza il nostro settore.
Accenture: turnover 4.0?
L’AD di Accenture Italia Fabio Benasso ha dichiarato in una intervista a La Repubblica del 9 ottobre 2017 che “Se ragioniamo di industria 4.0 focalizzandoci solo sulle tecnologie non cogliamo in pieno il valore del passaggio che stiamo vivendo […] mai come oggi è il capitale umano quello che davvero può fare la differenza. Occorre uno sforzo condiviso per promuovere il tema delle competenze”. Dobbiamo rilevare che la dichiarazione purtroppo non corrisponde alla realtà che viviamo noi dipendenti del colosso della consulenza.
I ritmi della rotazione del personale in una società sono importanti: quanto avviene negli uffici ci porta a una riflessione sulla capacità o volontà effettiva di valorizzare il capitale umano e quindi promuovere e mantenere le competenze acquisite. Accenture è un colosso in forte crescita: nel mondo conta circa 412.000 dipendenti, il 90% dei quali è entrato nel gruppo negli ultimi dieci anni. Anche in Italia, su 13.000 dipendenti, il 75% è stato assunto nell’ultima decade.
Ricambio del personale: è dimostrato dalle continue campagne di assunzione e recruiting. Da Il sole 24 ore (18/9/17): “Accenture ha lanciato una campagna che mira ad assumere negli ultimi 4 mesi del 2017 circa 900 addetti (il 60% neolaureati con contratto di apprendistato)”; tutto bene ma buona parte sono assunzioni in sostituzione di uscite. Questi numeri confermano il trend che negli anni ha fatto assumere ad Accenture il connotato di azienda “trampolino” da cui, dopo pochi mesi di esperienza, lanciarsi verso realtà più allettanti e gratificanti. Dal punto di vista dell’Azienda la riflessione potrebbe svilupparsi attorno alla eventuale convenienza nel trattenere maggiormente esperienze, professionalità e competenze, mirando realmente a valorizzare e premiare quel capitale umano al centro delle considerazioni dell’Amministratore Delegato. In un Gruppo da 36 miliardi di dollari di fatturato, la mancanza di un contratto di secondo livello è emblematica dell’assenza di un incentivo collettivo alla permanenza in Azienda. I soli premi individuali, decisi unilateralmente dall’azienda, ed il tanto pubblicizzato sistema “performance achievement” implementato per l’avanzamento della carriera, non convincono i colleghi a costruire il proprio futuro in Accenture. La debolezza sindacale, accentuata dalla suddivisione del Gruppo in diverse Legal Entity, spesso sprovviste di rappresentanze sindacali, con inquadramenti spalmati su almeno 4 diversi contratti collettivi nazionali, contribuisce a determinare condizioni remunerative e normative al di sotto della media. In questa situazione è iniziato un processo di sindacalizzazione con segnali incoraggianti che hanno portato nell’ultimo biennio alle elezioni di nuove RSU.
Come Coordinamento Ingegneri e Tecnici con tenacia stiamo contribuendo alla sindacalizzazione in corso. Non ci rassegniamo a vedere Accenture solo come trampolino di lancio e come breve esperienza lavorativa, stiamo dimostrando che è possibile organizzarsi per ottenere miglioramenti retributivi e normativi. Siamo convinti che sta a noi, alle nostre iniziative, al nostro coordinamento ed al contributo di tutti i colleghi avvicinarsi almeno ad un contesto dove il capitale umano faccia davvero la differenza.
Reply: una multinazionale tascabile
Abbiamo ricevuto queste note dai colleghi di Reply e volentieri le pubblichiamo
Il bollettino Coordinamento ingegneri e tecnici ci ha colpito e incuriosito per la proposta di coalizione in settori dove invece l’approccio individuale è molto forte, da qui questa breve nota con la richiesta per la pubblicazione. Reply, dove lavoriamo, è una azienda specializzata nella progettazione e nell’implementazione di soluzioni basate su canali di comunicazione e media digitali. Affianca i principali gruppi industriali europei appartenenti ai settori Telecomunicazioni, Energia, Utilities, Industria, Banche, Assicurazioni e Pubblica Amministrazione nello sviluppo di modelli di business abilitati dai nuovi paradigmi del Cloud Computing, Big Data, Digital Media e IoT. L’azienda è stata fondata nel 1996 a Torino da un gruppo di manager del settore IT, da allora l’espansione è stata notevole sia in termini di fatturato che di dipendenti. Lo sviluppo “endogeno” si è accompagnato all’acquisizione di società di piccole dimensioni, team di 50-150 persone, in modo da rendere più semplice l’integrazione nel gruppo. Attiva in Europa nelle sedi in Germania, Italia e Regno Unito, Reply è quotata al segmento STAR di Borsa Italiana dal 2000. Nel 1997 vi erano 83 dipendenti per un fatturato di 5,9 milioni di euro, nel 2016 i dipendenti sono saliti a 6015 per un fatturato di quasi 800 milioni di euro. È un esempio di quelle che vengono definite le “multinazionali tascabili” italiane. È anche un esempio di cosa significa una grande azienda “metalmeccanica” moderna, visto che è questo il nostro inquadramento contrattuale. Buona parte dei nostri colleghi non si considerano metalmeccanici, ma soprattutto, e questo fa riflettere, spesso non si considerano nemmeno colleghi. Nel senso che ognuno pensa per sé ed è convinto di poter ottenere gratificazioni economiche e professionali lavorando a testa bassa e percependo gli altri quasi come concorrenti. Di conseguenza nulla sappiamo delle condizioni dei nostri colleghi nelle varie realtà in Italia e ancora meno nei siti europei. Il bollettino del coordinamento dopo la sorpresa e la curiosità ci sta spronando invece ad alzare lo sguardo dalla scrivania e approfondire le dinamiche del nostro settore, a comprendere la realtà in cui operiamo e ad iniziare a ragionare come collettivo.