Bollettino 2017 giugno

Bollettino 2017 giugno

Nel mese di maggio, la scalata della Cina ai vertici del commercio, della finanza e dell’industria ha avuto due momenti apicali. In Europa HNA GROUP, a sorpresa, diventa il primo azionista di DEUTSCHE BANK e ad Hong Kong la TENCENT (servizi per mass media, internet e telefoni cellulari) diventa la prima società in Cina ad aver superato in borsa i 300 miliardi di dollari di capitalizzazione ed entra nella Top Ten dei grandi gruppi per valore di mercato.

Sono le mosse chiave di un confronto politico, finanziario e industriale con cui Cina, Europa e America stanno ridefinendo equilibri e rapporti di forza del prossimo ordine mondiale” (Il Sole 24 Ore, 04 maggio 2017).


SOMMARIO

Titolopag.
Il punto della situazione1-7
Energia: uno sguardo ai prossimi decenni2-3
Cento anni di superconduttività4-5
Tecnici produttori in Europa6
Cantieristica e aerospazio7-8

Scarica il bollettino


Uscire dalla crisi e da una fase di ristrutturazione significa che si accentueranno lotte e scontri, anche il varo della seconda portaerei cinese si può capire proprio in questo senso.

Lo sviluppo Cinese marcia oggi in gran parte con il progetto OBOR (One Belt One Road), una moderna via della seta che collega il gigante asiatico, tramite grandi investimenti in infrastrutture, con decine di paesi fino ad entrare in relazione diretta con l’Europa che chiede a sua volta contropartite ed invoca la reciprocità.

Minaccia e opportunità

L’Europa è la prima destinazione di merci dalla Cina per quasi 500 miliardi di €. La massa di investimenti esteri cinesi in operazioni di M&A nella UE è in crescita del 77% sul 2015. Secondo G. Noci, prorettore per il polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, questo appena descritto “è solo l’antipasto, stiamo assistendo ad un radicale cambiamento”. C’è preoccupazione ma anche “gola” per gli investimenti che può fare il dragone.

Il piano CHINA MANUFACTORING 2025 (CM2025) è un progetto elaborato con il contributo di 150 esperti dell’Accademia di Ingegneria e dal Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione cinese.

La Cina vuole evitare di essere pizzicata da un lato da paesi a costi di produzione inferiori e, dall’altro lato, da produttori di qualità superiore in tutto il mondo. Il piano promuove e sostiene lo sviluppo di industrie e tecnologie avanzate, e quindi ha bisogno di interagire con aziende straniere per impossessarsi del know-how. Come si vede dal grafico riportato in figura, tenendo conto delle dimensioni, lo spazio per introduzione di robot in Cina è immenso. Non a caso per Carboniero, il presidente dell’UCIMU (Associazione italiana di utensili, robot e automazione), la Cina che ora è il 3° cliente dell’Italia deve diventare il 1° visto che è il primo consumatore al mondo di macchine utensili.

Il progetto CM2025 avviato nel maggio 2015 è una risposta all’Industry 4.0 del 2011 promosso dalla Germania e al Manufacturing USA lanciato da Obama sempre nel 2011 e oggi di fatto portato avanti dalla amministrazione Trump. Sono “nomi” diversi che rivestono lo stesso contenuto: un grande processo di ristrutturazione dell’apparato industriale mondiale in tutti i suoi comparti sempre di più in lotta per la competitività.

Incognite e fattori multipli

Gli investimenti si muovono ovviamente nell’ottica di massimizzare i profitti ma è difficile prevedere le tendenze in corso. Il settore auto vede in atto un risiko di M&A e rappresenta un buon esempio per cogliere come siano effettivamente tanti i fattori in gioco. Negli ultimi 15 anni, secondo Ihs Automotive:

in ASIA la ricerca di TOYOTA sull’ibrido va considerata assieme agli investimenti statali Cinesi sulle auto ecologiche;

nell’area NAFTA (USA, CANADA e MESSICO) la produzione è ancorata alla Benzina (a prescindere dal dieselgate, il Diesel non ha mai superato il 5%) ma con l’ETANOLO salito al 26%;

in EU la leadership della Germania ha definito il profilo tecnologico e industriale della UE: nel 2000 un terzo delle auto era a Diesel oggi è la metà.

Anche le scelte politiche hanno forza determinante nel disegnare gli assetti. In Europa forse si identifica nell’auto elettrica la chiave di accesso ai prossimi anni. La Francia fissa in 2 milioni l’obiettivo di veicoli elettrici su strada entro il 2020, mentre la Germania 1 milione.

In America in questi anni si è assistito alla nascita di TESLA (2003 in California). Una compagnia che ha realizzato uno spettacolare balzo della capitalizzazione di borsa arrivando, a maggio, a superare addirittura la General Motors che, per un lungo tratto del ’900, è stata il simbolo e la più grande impresa Usa. Però nel 2016 la vendita totale di auto elettriche, nonostante quadruplichi rispetto al 2013, ha sfiorato le 800 mila unità, mentre la sola GM ha venduto circa 7 milioni di autoveicoli. TESLA nel 1° trimestre del 2017 ha raddoppiato il fatturato ma ha visto anche salire le perdite…

Il paradosso è che GM dispone di un’auto elettrica, la Bolt, che costa più o meno come la Model 3, con simile autonomia (circa 400 KM) ed è già sul mercato, ma ne ha vendute pochissime perché, per gli investitori, TESLA è il futuro e GM la “vecchia ferraglia”. Elon Musk, il fondatore di TESLA, si è conquistato un posto di rilievo in virtù della sua promessa di futuro. I successi della compagnia americana hanno spinto alla rincorsa BMW, VW, DAIMLER ed anche RENAULT che hanno avviato programmi per convertire la produzione in auto elettriche o ibride ma nessuno sa in realtà quanto rapidamente il mercato si svilupperà.

Un problema importante per l’auto elettrica è la soglia di autonomia e un grande ruolo giocano i produttori delle batterie come LG, SAMSUNG, PANASONIC ma anche la BOSH. Così come, ovviamente, la diffusione e quindi gli investimenti nella rete dei punti di ricarica, giocherà un ruolo decisivo.

Altro capitolo ancora è l’auto a guida AUTONOMA. I grandi gruppi high-tech come INTEL o GOOGLE stanno sempre di più entrando nel settore, già ora STMICROELECTRONICS ricava dall’auto oltre 1/3 del suo fatturato. La rivoluzione tecnologica AUTO andrà di pari passo con la sua riorganizzazione e questo vale anche per tutti gli altri settori.

Coalizione dei lavoratori come necessità

Abbiamo elencato un insieme di variabili la cui evoluzione nessuno può conoscere. Un punto va però ribadito. È chiaro che il riconoscimento del lavoro dei tecnici, che sono il core business di aziende che competono a 360 gradi, può e deve essere rivendicato. Non siamo un costo da tagliare né tanto meno lavoratori carichi di privilegi perché è il sapere dei lavoratori altamente professionalizzati che contribuisce a garantire l’innovazione e lo sviluppo. Dunque non la nostra divisione ma la nostra coalizione come produttori consapevoli di quello che rappresentiamo per le aziende, può essere una forza da far valere collettivamente.


ENERGIA
Uno sguardo ai prossimi decenni tra sfide tecniche e incognite politiche

Ogni anno, le grandi organizzazioni internazionali e le maggiori società del settore pubblicano i loro rapporti sulle prospettive a medio e lungo termine nel campo dell’energia. I cosiddetti “outlook” sono documenti strategici che cercano di prevedere trend e di fatto influenzare le politiche energetiche di società e stati.

Abbiamo avuto modo di visionare alcuni di questi rapporti. In particolare ci riferiremo al World Outlook 2016 dell’OPEC, al BP Energy Outlook 2017 e all’International Energy Outlook 2016 dell’EIA.

Tutti questi studi partono da due proiezioni fondamentali: l’andamento demografico e le prospettive dell’economia mondiale. Tra il 2035 e il 2040 la popolazione mondiale avrà toccato la soglia dei 9 miliardi di individui. La maggiore spinta a tale incremento verrà da India e Africa. In ogni modo per allora solo il 19% della popolazione mondiale sarà concentrata nei paesi cosiddetti sviluppati (OECD). Per quanto riguarda la produzione mondiale sarà il 234% del PIL mondiale del 2015. Anche nel caso del PIL gli incrementi saranno molto regionalizzati e ciò porterà nel 2040 la Cina ad avere un PIL pari a 1,5 volte il PIL USA e l’India superare il PIL della EU.

L’incremento di popolazione, l’incremento di PIL, così come altri fattori correlati ai primi due (per esempio il grado di urbanizzazione) mostrano un impatto diretto sui livelli di consumo energetico e sul mix di fonti primarie di energia usate in ciascun paese.

Secondo l’OPEC il consumo di energia primaria nel 2040 sarà il 40% in più rispetto al valore del 2015 e raggiungerà i 382 milioni di barili equivalenti al giorno. Il valore riportato rappresenta tutti i consumi energetici per tutte le attività umane: consumo di energia elettrica, consumo di energia per i trasporti, consumi di energia per attività produttive (ad esempio il carbon coke per la produzione di acciaio). Secondo BP lo stesso incremento sarà invece del 30% entro il 2035. I valori, per quanto diversi, sono simili e indicano una tendenza e cioè il fatto che l’incremento del consumo energetico globale sarà inferiore all’aumento di produzione di ricchezza. Questo sarà essenzialmente legato all’aumento dell’efficienza energetica in tutti i settori.

Partendo dai tre fattori fondamentali indicati sopra (crescita demografica, aumento del PIL mondiale, crescita dei consumi energetici) tutti e tre i rapporti delineano le quattro grandi aree di investimento da qui ai prossimi 20-25 anni: fonti di energia primaria, elettrificazione, trasmissione di energia ed auto elettriche.

Approfondiamo il primo punto. Nonostante il declino relativo dei combustibili fossili, essi domineranno ancora il mondo del 2040. A seconda dei rapporti, nel 2040 tra il 75% e il 77% dei consumi energetici totali saranno da fonti fossili (petrolio, carbone e gas). Questo significa che i consumi di fonti fossili aumenteranno in termini assoluti. I consumi totali di petrolio arriveranno a circa 100 milioni di barili giornalieri (+15 milioni sul 2014), quelli di carbone a 91,5 di barili equivalenti (+14 milioni sul 2014) e quelli di gas a 102 milioni di barili equivalenti (+42 milioni sul 2014). Il problema dell’esaurimento delle risorse energetiche fossili che di tanto in tanto emerge, soprattutto nei periodi di prezzi alti, è sicuramente spostato molto avanti nel tempo. Secondo il report EIA le riserve attualmente conosciute e commercialmente sfruttabili di petrolio ammontano a 1600 miliardi di barili che, all’attuale livello dei consumi basterebbero per 44 anni; quelle di gas naturale sarebbero di 198 mila miliardi di metri cubi che coprono i consumi per i prossimi 53 anni e infine quelle di carbone sarebbero di 878 miliardi di tonnellate sufficienti per i prossimi 110 anni. Per tutt’e tre le risorse energetiche fossili debbono anche essere presi in considerazione i giacimenti conosciuti e tecnicamente sfruttabili, anche se non all’attuale livello di prezzi. In virtù di questo, per esempio, si devono aggiungere ulteriori 2600 miliardi di barili di risorse che portano la sufficienza petrolifera a 115 anni al livello di consumi del 2015. Tutto ciò, senza tener conto dei progressi già in atto in termini di sfruttamento dei giacimenti esistenti e di ricerca di nuovi. Le tecniche EOR (Enhanced Oil Recovery) per esempio promettono di sfruttare i giacimenti petroliferi fino al 60% della loro capacità contro l’attuale 40%. I rilievi sismici multidimensionali permettono una conoscenza geologica molto più raffinata che in passato.

L’aumento dei consumi e i mancati investimenti dell’ultimo biennio comporterà una serie massiccia di investimenti nel settore dei combustibili fossili. Nel solo settore petrolifero, ad esempio, l’OPEC prevede investimenti complessivi per 10 mila miliardi di dollari da qui al 2040, la maggior parte dei quali, concentrati nell’upstream, cioè nell’esplorazione e nella trivellazione. Sappiamo bene che, anche durante un periodo di crescita, ci sono settori e aree geografiche che declinano e il ciclo di investimenti nei combustibili fossili non fa eccezione. Facciamo solo due esempi. La proiezione del consumo di combustibili liquidi è prevalentemente legato al settore trasporti. I veicoli per il trasporto su gomma raddoppieranno da qui al 2035 arrivando a 1,8 miliardi nel mondo (fonte BP). Ma la maggior parte dell’aumento avverrà nei paesi non-OECD. In più, proprio nei paesi OECD, la convergenza dell’incremento della quota di veicoli elettrici e una maggior efficienza dei veicoli tradizionali determinerà una diminuzione complessiva del consumo di carburanti liquidi. Ciò avrà come conseguenza un surplus di capacità delle raffinerie europee e americane che, per la verità, è già in atto. Tale processo si intensificherà e le chiusure di questi ultimi anni delle raffinerie di Collombey in Svizzera, Gela in Italia, La Mede in Francia e il dimezzamento della capacità di quella di Lindsey in UK rappresentano solo la premessa di quanto avverrà nei prossimi 20 anni. Quindi, nonostante i 1100 miliardi di dollari di investimenti previsti del settore raffinazione fino al 2040, lo stesso settore sarà colpito da una forte ristrutturazione in Europa e Nord America con la conseguente perdita di decine di migliaia di posti di lavoro.

Un altro esempio significativo di ristrutturazione nel pieno di una fase di crescita è quello del settore carbonifero cinese. Abbiamo visto che il consumo di carbone, per quanto declinante in termini relativi, continuerà a crescere in termini assoluti nel mondo. La Cina, che attualmente consuma la metà del carbone mondiale, continuerà la sua crescita nei consumi, ma si sta già avviando a una profonda ristrutturazione della sua base produttiva lungo le due filiere che maggiormente utilizzano il carbone: le centrali elettriche e l’industria siderurgica. Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica la Cina investe in un mix diverso di fonti aumentando il peso di gas e rinnovabili. In più il settore siderurgico è nel pieno di una profonda ristrutturazione che determinerà la chiusura degli impianti più piccoli e lo spostamento della produzione verso quelli a maggior valore (acciai speciali e inossidabili). Tutto ciò impatterà nel settore minerario con la chiusura, nell’arco dei prossimi anni, di miniere per un totale di capacità estrattiva di un miliardo di tonnellate di carbone. L’impatto sui lavoratori del settore è facilmente intuibile.

Le altre fonti primarie, idroelettrico, nucleare e rinnovabili essenzialmente sono direttamente legate al processo di elettrificazione che andrà avanti in maniera massiccia al punto che i 2/3 dell’incremento dei consumi energetici totali dei prossimi 20 anni riguarderà proprio il settore power. Nel 2035 il 47% dei consumi totali di energia riguarderà la produzione di energia elettrica contro l’attuale 42%. Di questo specifico argomento abbiamo già parlato nel numero di febbraio di questo bollettino e sottolineammo allora le lotte tra i grandi gruppi per accaparrarsi quote dei 5900 miliardi di dollari di investimenti previsti fino al 2030 in questo settore. Sul processo di elettrificazione vogliamo solo sottolineare alcuni intrecci con le altre tre aree (energia primaria, trasmissione e auto elettrica).

La modifica del mix energetico influenzerà ovviamente le tre aree e ne sarà influenzata a sua volta. La maggiore dipendenza cinese dal gas naturale imporrà una serie di interconnessioni fisiche con la Russia e le repubbliche ex sovietiche. Tali interconnessioni fisiche (gasdotti) comportano delle sfide tecniche ma anche politiche. Lo stesso si può dire per il sempre maggiore peso delle fonti rinnovabili. Il problema dell’instabilità delle fonti rinnovabili può essere risolto tramite l’accumulazione di energia elettrica o tramite una fitta interconnessione delle reti di distribuzione e alla introduzione di sistemi intelligenti per il loro controllo. Al momento, l’accumulo di energia (oltre ovviamente all’energia chimica e nucleare intrinsecamente accumulata nelle fonti fossili e fissili) si ha solo nei sistemi idroelettrici con il pompaggio di acqua in invasi da usare in caso di bisogno. La tecnologia dell’accumulo di energia elettrica passa necessariamente attraverso le batterie. In questo campo si fanno molti sforzi in ricerca in quanto anche il problema delle auto elettriche passa da qui. Esistono impianti di accumulazione sperimentali come quello di Aachen in Germania, con batterie agli ioni di litio e piombo, capace di erogare 5 MWh. Tuttavia le energie accumulate da questi sistemi sono troppo modeste per giocare, a breve e medio termine, un ruolo importante. Per questo motivo si impone la necessità di una maggiore interconnessioni delle reti elettriche locali e nazionali in un sistema complessivo.

Questa esigenza è particolarmente sentita in Europa, sia perché i sistemi nazionali si sono storicamente sviluppati in modo locale, sia perché proprio l’Europa è l’area geopolitica che maggiormente punterà nel corso dei prossimi anni alle fonti rinnovabili con il 40% di energia generata da queste. Il piano denominato Ten-Year Network Development Plan, stabilito da ENTSO-E (l’ente che coordina le reti elettriche dei paesi europei) serve proprio a eliminare i colli di bottiglia che impediscono il trasferimento repentino ed efficiente di energia elettrica laddove ce ne sia richiesta. I 52.000 km di nuove linee di trasmissione, le sottostazioni di trasformazione e i sistemi intelligenti di gestione delle reti comportano investimenti per 104 miliardi di euro. Non sfugge che questo progetto abbia profonde implicazioni, oltre che tecniche, fiscali, commerciali e, in ultima analisi politiche.

Le politiche di decarbonizzazione potrebbero paradossalmente rilanciare il consumo dei fossili per la produzione elettrica. Le tecniche EOR, accennate sopra, sfruttano l’iniezione di gas nei pozzi petroliferi per aumentare il rendimento dei pozzi stessi. L’idea è quella di usare i gas di scarico delle centrali elettriche come gas di iniezione (tecnologia CCU). In questo modo si avrebbe il doppio vantaggio di aumentare la produttività dei pozzi e catturare i gas serra. I problemi che ciò comporta sono notevoli: 1) la tecnica CCU diminuisce di circa ¼ il rendimento delle centrali; 2) il costo degli impianti CCU.

Elettrificazioni, fonti di energia, interconnessioni, relazioni economiche e politiche si intrecciano in modo quasi inestricabile. I prossimi anni vedranno sfide tecnologiche gigantesche, ma altrettanto gigantesche lotte tra compagnie e stati per il posizionamento sul mercato mondiale. Noi tecnici e ingegneri che siamo i protagonisti della soluzione dei problemi pratici, saremo, al contrario, pedine inconsapevoli dei giochi economici e politici fatti anche sulla nostra pelle di lavoratori se non acquisiremo la coscienza della nostra importanza e della possibilità di dire la nostra solo come coalizione, come organizzazione di lavoratori.


CENTO ANNI DI SUPERCONDUTTIVITÀ

Cosa hanno in comune l’acceleratore di particelle LHC al Cern di Ginevra, il treno a levitazione magnetica, una centrale elettrica, un circuito a microonde, la risonanza magnetica che facciamo comunemente in ospedale?

Stephen Blunnel, fisco di Oxford, risponde alla domanda nel suo libro “Superconduttività”, Codice edizioni.

Lo sviluppo dei materiali superconduttori è una storia tecnologica e una sfida scientifica che ha coinvolto migliaia di tecnici e scienziati per oltre un secolo alle latitudini più disparate.

I superconduttori sono materiali in cui la corrente elettrica può circolare senza resistenza, come in un moto perpetuo in cui l’attrito è annullato. Per realizzare uno stato superconduttivo occorre raffreddare il materiale a temperature molto basse.

Inoltre in essi è nulla la dispersione di energia termica (effetto Joule) dovuta al moto degli elettroni che conducono la corrente.

I superconduttori vengono utilizzati principalmente per produrre magneti.

I magneti superconduttori si trovano in molte applicazioni di notevole interesse scientifico e sociale, come ad esempio la risonanza magnetica nucleare.

Il suo funzionamento è semplice: il segnale può rivelare quanta acqua è presente nel campione e dove, e questo fornisce le informazioni biologiche necessarie.

Un’altra applicazione notevole è presente negli acceleratori di particelle come l’LHC al Cern di Ginevra che utilizza 1232 magneti superconduttori di 15 metri e 35 tonnellate ciascuno.

Un altro problema è quello delle centrali elettriche che devono lavorare a regime continuo, ma la domanda di energia varia nel tempo, così l’idea è quella di utilizzare l’energia avanzata nei periodi di bassa domanda e immagazzinarla in un magnete superconduttore dove rimanere in maniera indefinita e a seconda delle necessità scaricare il magnete ed utilizzarla.

Oltre a queste applicazioni su larga scala ve ne sono altre dove è necessario ottenere alte frequenze come antenne, filtri e mixer nei circuiti a microonde o le giunzioni tunnel o quelle Josephson, o gli SQUID, dispositivi usati come rivelatori molto sensibili di campi magnetici in medicina (magnetoencefalografia e magnetocardiografia).

I pionieri: alla conquista delle basse temperature

Il primo a liquefare un gas, il cloro, fu il fisico inglese M. Faraday, quando era assistente del chimico H. Davey.

Nel 1787 il chimico olandese M. van Marum arrivò alla liquefazione dell’ammoniaca. Fu il francese L.P. Cailletet che scoprì che non c’era bisogno di una pressione molto alta per liquefare un gas, ma che era sufficiente un abbassamento rapido della pressione. I chimici polacchi Wròblewski e Olszewski miglioreranno la strumentazione di Cailletet e nel 1883 otterranno l’ossigeno liquido. Il tedesco C.von Linde (che tra i suoi studenti annoverava R. Diesel inventore del famoso motore), aveva messo a punto un liquefattore che commercializzò nel 1873 e nel 1879 fondò il gruppo Linde, la più grande compagnia industriale di gas che oggi fattura quasi 17 miliardi di € l’anno.

Tra i gas più noti quello che più avrà impiego nelle tecniche di raffreddamento sarà l’elio: venne scoperto nel 1868 dall’astronomo francese J. Janssen, l’astronomo inglese N. Lockyer insieme al chimico inglese E. Franckland. Nel 1895 il chimico scozzese W. Ramsey isolò l’elio in laboratorio. Partì quindi la gara alla liquefazione dell’idrogeno e dell’elio.

Nel 1893 il fisico e chimico inglese J.Dewar costruì il primo thermos: scoprì che l’idrogeno diventava liquido a 20,28 K.

La scoperta della superconduttività

Il vincitore della corsa all’elio liquido fu l’olandese H.K. Onnes, allievo dei tedeschi R. Bunsen e G. Kirkhoff.

L’8 luglio 1908 ricavò una tazza da the di elio liquido facendo scendere la temperatura a 4,2 K.

Nel 1911 raffreddando il mercurio fino sotto la temperatura dell’elio liquido scopri che la resistenza del mercurio spariva: aveva scoperto la superconduttività.

L’effetto Meissner

Nel 1933 gli olandesi W.J. de Hass e W.H. Keesom, scoprirono che alcune leghe metalliche esibivano un comportamento superconduttore anche se i singoli componenti non lo erano.

Sempre nel 1933 i tedeschi W. Meissner e R. Ochsenfeld individuarono il cosiddetto effetto Meissner, ossia contrariamente alle attese i campi magnetici venivano espulsi appena il materiale veniva raffreddato e assumeva lo stato di superconduttore.

Tale espulsione era dovuta a correnti elettriche che insorgono sulla superficie dei metalli dette correnti di schermaggio; queste producono un campo magnetico che si oppone al campo magnetico esterno, in cui è immerso il materiale, e quindi danno vita a forze repulsive che, nel caso in cui il materiale sia sottoposto al campo gravitazionale, si oppongono alla gravità e consentono al superconduttore di librarsi nell’aria (treni a levitazione magnetica Megalev).

Il contributo della teoria quantistica

Successivamente i fratelli tedeschi Fritz e Heinz London svilupparono la formulazione quantistica della conduzione elettrica.

Dopo la Seconda guerra mondiale il tedesco H. Froelich cercò di spiegare la superconduttività includendovi gli effetti delle vibrazioni del reticolo cristallino, cioè la struttura periodica con cui sono disposti gli atomi in un solido.

Gli americani E. Maxwell e B. Serin, usando gli isotopi degli atomi mostrarono che non si poteva ignorare la presenza dei nuclei i quali costituiscono la maggior parte della massa degli atomi.

Tre americani J. Bardeen, W. Brattain e il loro supervisore W. Shockley stavano lavorando nei Bell Telephone Laboratories all’invenzione del primo transistor a punta di contatto, che portò infine allo sviluppo dei chip al silicio e dei moderni computer.

Per andare oltre occorreva utilizzare gli strumenti della teoria quantistica dei campi incluse le tecniche diagrammatiche sviluppate dal fisico americano Richard Feynman. Bardeen, che non aveva le conoscenze necessarie, assunse due giovani ricercatori L. Cooper e J.R. Schriffer.

Le coppie di Cooper e la teoria BCS

Cooper semplificò il problema degli elettroni considerando l’interazione solo tra due di questi, la coppia di Cooper costituiva un’entità stabile: ma cosa determinava l’attrazione, se pur piccola, tra elettroni laddove è risaputo che cariche dello stesso segno si respingono?

La soluzione proposta da Bardeen, Cooper e Schriffer fu l’interazione tra gli elettroni e le vibrazioni del reticolo cristallino (fononi) che sopravanzano la repulsione colombiana.

Questo spiega uno dei primi misteri della superconduttività, ossia perché essa ha luogo nei metalli che sono conduttori scadenti (piombo, mercurio), e non nei buoni conduttori (oro, rame).

C’era ancora un enigma da risolvere, ossia il numero di coppie di Cooper.

L’intuizione decisiva venne a Schriffer che considerò gli elettroni del materiale tutti insieme e non isolati, come se ciascuno fosse parte di un tutto inseparabile; aveva così concepito la funzione d’onda BCS.

Questo era possibile ricordando una delle caratteristiche peculiari della meccanica quantistica, ovvero la sovrapposizione di diversi stati con differenti proprietà, cosicché le cose possono esistere letteralmente come somma di contraddizioni.

La coppia di Cooper è una struttura dinamica cioè esiste solo in movimento.

Simmetria e transizioni di fase

La teoria BCS proveniva dagli Usa ed era un approccio microscopico al problema; contemporaneamente in Unione Sovietica veniva sviluppato un approccio macroscopico.

L.D. Landau (Nobel nel 1962 per la teoria dell’elio liquido) e il suo collaboratore V.L. Ginzburg studiarono i superconduttori dal punto di vista della simmetria.

Alle basse temperature comparivano due minimi di energia, il che significava che il sistema poteva trovarsi magnetizzato in una direzione o in quella opposta.

La scelta di una direzione di magnetizzazione indicava che veniva “rotta la simmetria”.

Le equazioni mostravano come al di sopra della temperatura critica non vi fossero portatori di carica, che invece comparivano sotto tale temperatura.

L’effetto Josephson e gli SQUID

Nel 1960 il norvegese I. Giaever realizzò la prima giunzione tunnel superconduttiva nei laboratori della General Electric.

Fu possibile vedere come gli elettroni potevano fluire attraverso lo strato isolante, un effetto impossibile nella fisica classica.

Il gallese B. Josephson capì che la rottura di simmetria in un superconduttore fosse realmente la sua qualità fondamentale.

Posti in prossimità l’uno dell’altro e separati da un sottile strato di isolante scoprì che tra i due superconduttori sarebbe dovuta scorrere una corrente netta spontanea legata alla differenza di fase tra gli stessi. Era un risultato inatteso.

La giunzione Josephson era molto più difficile da realizzare rispetto alla giunzione tunnel, ma alla fine venne costruita nel 1963 nei laboratori Bell insieme a J. Rowell.

Essa poteva essere usata come generatore di microonde, per produrre un nuovo campione standard per la differenza di potenziale, per la costruzione degli SQUID (due giunzioni poste in parallelo) spesso usati negli studi sull’attività neuronale del cervello (magnetoencefalografia).

Superconduttività ad alta temperatura

La superconduttività si perde quando il campo magnetico supera una certa soglia critica.

È quindi fondamentale trovare dei materiali in cui il campo magnetico critico abbia valori più alti, ma nel fare ciò è necessario anche innalzare la temperatura.

Il niobio è un metallo che possiede la più alta temperatura di transizione superconduttiva tra gli elementi, 9,3 K.

Nel 1941 si scoprì che il carburo di niobio era superconduttore a 16 K, un vero e proprio record per l’epoca.

Il tedesco B. Matthias nel 1954 trovò una lega di niobio e stagno (Nb3Sn) che superconduceva a 18 K e aveva un elevato campo magnetico critico.

Nei primi anni ’70 con il niobio germanio la temperatura critica arrivò a 23 K.

La temperatura record fece un piccolo passo nel 1973 arrivando a 23,3 K con il Nb3Ge.

Nel 1985 due ricercatori dei laboratori IBM di Zurigo, il tedesco J.G. Bednorz e lo svizzero K.A. Muller scoprirono un resoconto di scienziati francesi che usavano una perovskite (una famiglia di minerali contenenti ossidi) contenente bario, lantanio, rame e ossigeno: alterarono il rapporto tra bario e lantanio per aumentare la carica elettrica del rame.

Nel gennaio 1986 arrivarono a 30 K per la temperatura critica di questo composto.

Nel novembre 1986 il fisico di Huston P. Chu scoprì che aumentando la pressione sul superconduttore si alzava la temperatura critica da 30 a 40 K.

Nel gennaio 1987 il gruppo di Chu a Huston si unì con quello di Maw-Kuen-Wu in Alabama e sostituirono il lantanio con l’ittrio.

Fu una svolta epocale, la temperatura critica fu portata a 77 K ossia la temperatura di ebollizione dell’azoto liquido.

Fu una rivoluzione in quanto l’80% dell’aria è composta di azoto e la sua liquefazione era economicamente vantaggiosa.

Successivamente lo sviluppo dei fullereni, composti chimici del carbonio 60 scoperti dal chimico britannico H. Kroto e dagli americani R. Smalley e R. Curl (tutti e tre Nobel nel 1996), mostrava che alcuni loro composti erano degli ottimi superconduttori.

In questo modo un numero maggiore di elettroni partecipano alla superconduttività innalzando la temperatura critica fino al livello record di 380 K.

Verso la fine del 2000 il giapponese J. Akimitsu trovò che il semplice composto il diboruro di magnesio MgB2 superconduceva fino a 390 K.

La tecnologia, e la scienza che la sorregge, sono un’impresa mondiale plurigenerazionale che coinvolge il lavoro organizzato e pianificato di migliaia di tecnici, ingegneri, fisici, chimici: i superconduttori non sfuggono a questa regolarità.


TECNICI PRODUTTORI IN EUROPA
Dalla siderurgia all’industria 4.0 nell’era dell’incertezza

Sabato 4 marzo il Coordinamento Ingegneri e Tecnici ha partecipato ad un convegno organizzato dalla FIOM di Genova dal titolo “Tecnici Produttori in Europa, dalla siderurgia all’Industria 4.0 nell’era dell’incertezza. Il convegno ha rappresentato l’occasione per muovere un ulteriore passo verso la necessaria consapevolezza di quanto sia impellente un sindacato europeo in grado di organizzare i lavoratori di tutte le stratificazioni, in un mercato della forza lavoro ormai continentale. La presenza di Michael Bach e Holger Lorek, dirigenti del sindacato tedesco dei metalmeccanici, ne era la prova tangibile.

Aprendo i lavori del convegno il segretario generale della FIOM di Genova ha ribadito questo concetto mostrando i mille fili che legano anche le fabbriche della città alla dimensione europea.

Per il primo intervento del convegno ha preso la parola un collega dell’Ansaldo Energia, aderente al Coordinamento Ingegneri e Tecnici, il quale ha evidenziato come oggi anche gli strati impiegatizi siano investiti dalla ristrutturazione e che, proprio per questo motivo, a Genova i colleghi di alcune grandi realtà come Leonardo ed Ericsson hanno portato avanti delle lotte di difesa utilizzando quei metodi solitamente associati alle “tute blu”, come cortei e blocchi stradali.

Tecnici e impiegati che sono oggettivamente parte in causa di un mercato europeo della forza lavoro e che, anche grazie allo sforzo del Coordinamento, stanno prendendo coscienza almeno in alcune realtà aziendali di come sia necessario guardare alla coalizione come strumento per difendere i posti di lavoro e le proprie condizioni.

Ha portato poi un saluto un lavoratore straniero iscritto alla FIOM. È stato un intervento significativo, già in sé, in quel tipo di riunione: gli immigrati sono oggi parte integrante della classe operaia europea e lo saranno sempre di più in futuro, anche tra ingegneri e i tecnici. La nostra forza è l’unità tra l’ingegnere e l’immigrato.

In seguito è intervenuto un tecnico della siderurgia genovese dell’ILVA, che ha evidenziato come in un settore come questo sia necessario alzare uno sguardo sul mondo vista la grandissima competizione che si sta scatenando tra i vari gruppi internazionali che competono su questo mercato.

Inoltre, alla presenza dei colleghi del sindacato tedesco, ha posto la questione della necessaria difesa comune dei lavoratori della siderurgia, evidenziando in questo modo la necessità di un coordinamento permanente dei lavoratori europei dell’acciaio.

È poi intervenuto un collega della cantieristica che a sua volta ha descritto i repentini cambiamenti del comparto.

Alla luce del processo di concentrazione attualmente in corso, che ha visto l’acquisto dei cantieri francesi STX da parte dell’italiana Fincantieri, il collega ha evidenziato un limite e ha posto un quesito alla sala, ovvero: bene il lavoro con i colleghi tedeschi ma occorre guardare anche oltralpe. E se l’AD di Fincantieri ha incontrato il sindacato francese, cosa ha fatto il sindacato italiano?

Il limite dell’agire sindacale si evidenzia nell’assenza di contatti tra delegati sindacali francesi e italiani dei due cantieri. Un limite su cui si sta lavorando e che potrebbe portare ad un prossimo incontro a cui come coordinamento ingegneri e tecnici saremo felici di partecipare.

Grande attenzione poi per l’intervento dei dirigenti sindacali dell’IG Metall. I colleghi hanno fatto una panoramica del settore della siderurgia tedesca che, pur presentando una solidità notevole, sta patendo i colpi della crisi. Nelle slide proiettate dai membri del sindacato tedesco è risultato come la ristrutturazione abbia portato ad una diminuzione importante degli addetti nel settore, a cui ha fatto da contraltare una crisi relativa del sindacato.

Crisi che la IG Metall è riuscita a invertire lavorando ad un rafforzamento proprio in quegli strati tecnico impiegatizi storicamente meno sindacalizzati, attraverso un importante investimento in funzionari sindacali in grado di organizzare questi lavoratori. Anche da parte dei colleghi tedeschi è emersa inoltre la necessità di lavorare per dare una base organizzativa comune ai lavoratori europei.

Infine il convegno si è chiuso con le conclusioni del segretario organizzativo della FIOM di Genova che, partendo dall’esperienza del triangolo industriale, ha ribadito come non si possa più aspettare per la costruzione di un sindacato europeo.

Non tanto di un sindacato europeo calato dall’alto, che finirebbe per rappresentare nient’altro che il riflesso dell’interesse degli imprenditori europei ad unificare il continente per reggere la concorrenza internazionale. Quanto piuttosto un sindacato europeo costruito dal basso, dagli stessi lavoratori, per difenderli dagli attacchi di tutto il padronato europeo e parlare con una sola voce anche ai lavoratori di tutto il mondo.

Un auspicio che, come Coordinamento, ci sentiamo di sottoscrivere e che ci porterà a lavorare nei prossimi mesi per organizzare nuovi incontri con colleghi di altri paesi per proseguire su questa strada.


CANTIERISTICA E AEROSPAZIO
Di fronte a gruppi europei ci vuole una coalizione europea di lavoratori

Ristrutturazione della cantieristica

I processi di riorganizzazione e concentrazione dei settori industriali, stanno accelerando in diversi comparti. Tra questi, i settore della cantieristica navale e dell’aerospazio e difesa ci offrono l’occasione per riflettere sulle dinamiche in corso.

Dopo alcuni anni di crisi, l’industria del mare è ripartita vigorosamente, alimentata dagli abbondanti ordini di nuove navi da crociera e dall’estendersi di nazioni che vogliono potenziare/ammodernare la propria flotta militare.

Comunque questi anni di crisi hanno lasciato il segno e stanno aprendo nuovi scenari per il futuro.

In Asia il crollo degli ordini di naviglio tradizionale e di navi offshore ha portato i cantieri cinesi e coreani (principali costruttori navali mondiali) ad una profonda ristrutturazione con migliaia di licenziamenti.

In Europa l’arresto del flusso di ordini di navi da crociera durante la crisi e le ristrettezze di bilancio degli Stati Europei ha portato anche qui ad una ristrutturazione con licenziamenti e chiusure di cantieri.

Il prezzo fatto pagare ai lavoratori della cantieristica mondiale in questi anni è stato pesante. A livello europeo si stima una perdita in 10 anni di circa 60.000 posti di lavoro.

La rinascita di Fincantieri

Anche in Italia è avvenuta una profonda riorganizzazione del settore. In particolare il più grande gruppo delle costruzioni navali, Fincantieri, nel 2011, ha portato avanti un piano che prevedeva la chiusura di 3 cantieri navali tra cui quello di Genova Sestri Ponente.

Ma con una tenace lotta di difesa a Genova si è riusciti a mantenere il sito produttivo e dopo una battaglia durata mesi, con 190 ore di sciopero in 4 mesi e 3 settimane di occupazione della fabbrica quel piano è stato respinto.

Oggi tutti i cantieri navali italiani ed europei hanno un carico di lavoro importante. In particolare a Genova Sestri Ponente è prevista la costruzione di cinque nuove navi da crociera che “satura” il sito fino al 2022.

Dopo le riorganizzazioni, le aziende del settore spingono ora verso acquisizioni e concentrazioni per aumentare la propria stazza.

È successo ai cantieri tedeschi Meyer Werft, che hanno acquisito il cantiere finlandese di Turku, aumentando di fatto del 40% la propria capacità produttiva.

È successo a Fincantieri che ha acquisito cantieri in Norvegia, Romania, Brasile, Vietnam, Stati Uniti diventando un player mondiale.

Significativo è l’accordo raggiunto tra Fincantieri e Stato francese per acquisire STX France, formando un grande gruppo delle navi da crociera, del militare e della componentistica navale.

Aerospazio e Difesa

Le stesse dinamiche le possiamo ritrovare anche nel settore dell’aerospazio e della difesa, un comparto “duale”, dove il militare e il civile sono i due motori propulsivi.

Se prendiamo in considerazione per esempio il settore spaziale, nel civile rientrano sia i satelliti scientifici, finanziati dalle varie agenzie spaziali che quelli commerciali, per lo più TLC ed osservazione ambientale.

Ma sono divisioni molto sottili.

I satelliti di navigazione (GPS americano, GALILEO europeo, GLONASS russo o il cinese BEIDOU) sono nati come strumenti militari per guidare le bombe intelligenti, ma sono gli stessi che usiamo sulle nostre auto per andare in luoghi che non conosciamo.

Anche quelli di osservazione sono nati dalle esigenze della guerra e si sono poi diffusi alla meteorologia, allo studio della terra e alle esigenze del settore petrolifero-minerario.

Le TLC non sono differenti: ogni esercito ha i suoi sistemi satellitari di TLC, ma altrettanto vengono usati satelliti per la trasmissione di telefonia, radio e TV.

Perciò è un settore strategico che rimane direttamente o indirettamente sotto la protezione degli stati.

Stati che influenzano quindi la concorrenza, in una sorta di azione – reazione tra concorrenza, mercato e poteri statali.

Oggi, ad esempio, si prevede una ripresa nel settore dell’elettronica della difesa terrestre e navale, grazie all’aumento del 2-3% dei budget della difesa negli USA e in UE. Fonti Leonardo prevedono un valore medio annuo del mercato mondiale, solo per questo settore nel periodo 2017-2021, di circa 45 miliardi di euro.

Lo sviluppo di questi settori avviene quindi alternando periodi di forte crescita a ristrutturazioni accompagnate da riduzioni di personale, e negli ultimi anni da massiccio uso di varie forme di lavoro “precario” nelle più svariate tipologie.

Tipologie, come scrive il Corriere della Sera del 19 febbraio, che “dovevano essere il primo contatto con il mondo del lavoro e momento di formazione, e che invece hanno assunto la funzione sostitutiva delle vere forme contrattuali” … ovviamente a più basso costo.

In Italia la legislazione sul lavoro negli ultimi anni ha subito una forte trasformazione, arrivando per ultimo al Jobs Act che ha introdotto una forte liberalizzazione nei licenziamenti individuali.

È una situazione che, con le dovute differenze, accomuna i giovani lavoratori in Europa, in un mercato del lavoro che da un punto di vista normativo si sta unificando: lo scorso anno la Francia ha varato la legge del ministro del lavoro El Khomri incassando il plauso del padronato per la promozione di quelle flessibilità già introdotte dalle “leggi Hartz” in Germania, e a cascata in Italia, con il Jobs Act, e in Spagna. Da questa panoramica ne risulta la necessità della coalizione anche per gli ingegneri e tecnici della cantieristica, cosi come di quelli dell’aerospazio e della difesa, una categoria di lavoratori estremamente specializzati, ma anche, fin ora, poco sindacalizzati.

Prospettiva a livello Europeo

Se guardiamo al mercato del lavoro in cui operiamo, il lavoro di organizzazione sindacale, di coalizione dei lavoratori, deve naturalmente partire dal singolo luogo di lavoro, ma deve avere una prospettiva europea.

È necessario perché la nostra controparte ha una strategia comune (vedi le direttive della BCE sui salari e sul privilegiare la contrattazione aziendale a scapito di quella nazionale), e siamo messi nell’angolo se non adottiamo anche noi una strategia che unisca le nostre forze.

Da questo punto di vista dobbiamo ripercorrere a livello europeo la strada che tra ’800 e ’900 ha portato alla creazione delle organizzazioni sindacali nazionali. Si tratta oggi di salire un gradino nell’organizzazione sindacale.

Non è impossibile, anzi oggi è facilitato, oltre che dalla maggior facilità nelle comunicazioni, dalla diffusione internazionale delle aziende in cui lavoriamo, e dalla continua collaborazione con altre aziende europee.

Ma ciò che dobbiamo sempre avere in testa come obbiettivo è la creazione effettiva, non formale come è oggi, di un sindacato europeo che sappia unificare almeno a livello continentale tutte le stratificazioni dei lavoratori.

Il caso Fincantieri dimostra che, mentre l’Azienda si sta rafforzando e sta allargando le proprie competenze, i lavoratori sono complessivamente più deboli ed in più occasioni in concorrenza l’uno con l’altro, se non viene afferrato il nocciolo della questione.

Perciò, piuttosto che rannicchiarsi impauriti di fronte ad una situazione che oggettivamente sta cambiando, magari trincerandosi dietro impotenti posizioni protezionistiche, occorre cogliere l’occasione che queste operazioni di internazionalizzazione ci possono dare, per metterci in contatto con i lavoratori che da domani saranno nostri colleghi nella stessa azienda. E con loro discutere come affrontare insieme i problemi comuni.