Bollettino 2016 settembre

Bollettino 2016 settembre

Il dibattito di questa estate ha riguardato ancora una volta l’incertezza sull’andamento del ciclo economico mondiale.

I più pessimisti (e oramai non sono più così pochi) si rifanno alla tesi espressa da L. Summers sulla “stagnazione secolare”.

Anche i più ottimisti però devono riconoscere che l’andamento del prezzo delle materie prime, le persi- stenti difficoltà del settore bancario, le oscillazioni politiche (ad esempio la Brexit), le incognite militari, le dinamiche migratorie e i focolai di guerra perturbano in maniera assai preoccupante l’andamento economico.


SOMMARIO

Titolopag.
Brevetti e pubblicazioni scientifiche nella battaglia per la produttività1-2-8
Secondo incontro del “triangolo” MI-TO-GE3
L’ingegnere nella storia (parte I)4-5
Notizie flash6
MIDEA-KUKA7

Scarica il bollettino


LA BATTAGLIA MONDIALE DELLA PRODUTTIVITÀ

Una sola cosa sembra sicura: sia che il mercato resti “fiacco”, sia che inizi a viaggiare a ritmi maggiori, la concorrenza tra gruppi economici e tra Stati si farà sempre più acuta.

Il sorpasso dell’Asia

Recentemente NOMISMA-CRIF ha pubblicato un rapporto, “Industria 2030”, che fornisce diversi spunti interessanti. In un periodo di tempo molto breve, la produzione manifatturiera industriale dell’ASIA è passata dal 34% del totale mondiale nel 2007 al 48% del 2014, mentre l’Europa è scesa dal 34% al 27% e il Nord America dal 24% al 19%. Lo studio conclude che dopo la grande depressione si va verso una nuova geografi a del potere economico. In effetti “passano di mano” 13 punti percentuale della intera produzione industriale mondiale in soli 7 anni, l’Asia supera Europa e Nord America sommati. (Vedi Fig. 1). Emerge dal rapporto come la dimensione dell’impresa ridotta costituisca un limite per l’Italia, e come la metà dei primi 1000 gruppi si concentri in soli tre paesi. (Fig. 2). Il tema della produttività è tornato prepotentemente alla ribalta, anche perché i vantaggi tecnologici dei paesi avanzati si sono ristretti di molto. Ci sono vari aspetti che concorrono a definire “la produttività” e che vanno considerati nel loro insieme: il sistema scola- stico, la spesa in ricerca e sviluppo, l’efficienza dell’apparato statale, i livelli di investimento, il sistema bancario, le infrastrutture (energetiche, di trasporto, ecc), la vicinanza ai mercati di sbocco e il costo e i ritmi del lavoro. A giudicare dalle scelte dei governi però (Jobs Act in Italia, riforma del lavoro in Francia, riforme in Spagna, solo per citarne alcuni) sembra che gli unici fattori che contino siano proprio il costo e i ritmi del lavoro. Ciò significa che a farne le spese, in buona sostanza, sono i lavoratori che si vedono imputati di essere diventati troppo “rigidi” e vengono considerati un costo da ridurre. Sono tanti gli esempi di ristrutturazioni che pongono proprio come punto di partenza un taglio dei contratti integrativi (siamo sicuri che spostare la con- trattazione al secondo livello sia la soluzione in queste condizioni?) o un taglio diretto dell’organico quando la misura si fa più drastica. Occupazione in calo, redditi e volume d’affari in picchiata, flussi migratori verso l’estero in costante aumento: questi, in sintesi, i principali aspetti che caratterizzano oggi la professione di molti lavoratori skilled in Italia, con una peculiare accentuazione per le giovani generazioni che si trovano ad affrontare l’uscita difficile della più grave crisi economica dal secondo dopoguerra in poi. Ci proponiamo di fornire materiale per mettere meglio a fuoco la questione della produttività, perché siamo convinti che il costo della forza lavoro sia solo uno dei molteplici aspetti da considerare.

SJR Indicator

Prendiamo come elemento di confronto le pubblicazioni di un paese. Gli articoli pubblicati su riviste scientifiche sono il principale output dell’attività di ricerca di base. Il numero di articoli scientifici costituisce un primo indicatore della produzione di nuova conoscenza di ciascun paese. SJR indicator (SCI- mago Journal Rank) è un indicatore che misura il grado di influenza scientifica delle riviste accademiche. E’ un indice che utilizza il numero di citazioni ricevute da un giornale e l’importanza o il prestigio delle riviste da cui tali citazioni provengono. Un articolo viene assegnato ad un paese se uno dei suoi autori, indipendentemente dalla sua nazionalità, lavora in una istituzione (università, ente di ricerca o impresa) che si trova in quel paese. Il trend del numero di pubblicazioni è crescente in tutti i paesi considerati. Gli articoli scientifici pubblicati sono molto eterogenei. I dati che abbiamo riportato sono il totale delle pubblicazioni in tutti i campi e possono essere uno specchio dello sviluppo e della produttività di un paese. In testa, per il 2015, ci sono gli Stati Uniti seguiti nella classifica dalla Cina, ma come è possibile vedere dalla tabella di confronto con i vent’anni precedenti, sono consistenti le differenti dinamiche di crescita. (Fig. 3)

I nuovi brevetti

Se misurare gli input del processo innovativo è piuttosto complicato, misurare i suoi output lo è ancora di più. Il numero di brevetti, ossia i titoli giuridici in forza dei quali ai titolari viene conferito un diritto esclusivo, ma temporaneo, di sfruttamento di un’invenzione, è l’indicatore più utilizzato. Per i confronti internazionali è opportuno selezionare gruppi di brevetti omogenei e quindi non limitarsi a quelli depositati presso l’ufficio di una singola nazione o area geografica, ma considerare le triadic patent families, ossia la famiglia di brevetti depositati in tre importanti uffici brevetti: l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO), l’Ufficio Brevetti Giapponese (JPO) e l’ United States Patent and Trademark Office (USPTO).

I brevetti sono attribu­iti al paese di residenza dell’inventore e alla data in cui il brevetto è stato registrato. Questo indi­catore è misurato come numero.

La figura 4 mostra una crescita costante di brevetti nel mondo dagli anni ottanta, con una flessione in corri­spondenza della crisi del 2007. Negli ultimi anni la crescita è ripartita, ma come si vede dalle aree evidenziate in Fig. 5 sono nuove le zone che contri­buiscono alla crescita.

I brevetti sono asse­gnati a specifici settori tecnologici, alcuni dei quali sono particolar­mente importanti, sia per la rapidità del pro­gresso tecnico specifico di questi settori sia per l’impatto pervasivo che hanno sul sistema pro­duttivo. I brevetti nelle ICT sono il primo sot­toinsieme che merita particolare attenzione per la vastità delle loro applicazioni.

Una seconda classe tecnologica particolar­mente importante è quelle delle biotecnolo­gie. Sia perché l’impor­tanza di alcune delle sue applicazioni ha cambiato le caratteristiche dell’in­dustria farmaceutica sia perché rappresenta il settore nel quale la stragrande maggioranza delle innovazioni viene brevettata. Con l’ecce­zione del Regno Unito e Stati Uniti, i cui brevetti erano cresciuti molto rapidamente negli anni 90, anche in questo set­tore i brevetti sono cre­sciuti notevolmente.

La Fig 6 mostra l’andamento nei princi­pali paesi, da prima della crisi.

Fatto 100 per tutti i paesi il 2006, è evi­dente come Europa, USA e Giappone non siano ancora tornati ai livelli del 2006, mentre Bra­sile, Russia, India e Cina abbiano proprio in questi anni una fortissima dina­mica di crescita. Certo in termini assoluti il GAP non è ancora colmato, ma con questo ritmo le distanze si accorciano molto rapidamente.

Abbiamo voluto ripor­tare queste considera­zioni perché appunto brevetti e pubblicazioni sono un ingrediente del “sistema” produtti­vità che vale la pena considerare.

I nessi nascosti

Nel mondo la rapidità degli avvenimenti è notevole e le “fotogra­fie” che i media tra­smettono non sono sufficienti per compren­dere i processi in corso. Spesso quello che manca sono proprio i “nessi” tra le notizie senza i quali diventa impossibile cogliere il senso di fondo del momento che stiamo vivendo.

Nel mondo è già pro­fondamente cam­biata la geografia della forza industriale, come mostrano i dati dello studio di Nomi­sma riportato all’inizio dell’articolo.

Queste nuova dislo­cazione della forza eco­nomica ha accentuato la concorrenza e acuisce le tensioni nel mondo; ha accelerato processi di ristrutturazione sia nelle nuove che nelle vecchie metropoli. Per l’Europa significa vedere eroso il Welfare State e quindi mettere in discus­sione tutta una serie di “diritti” conquistati dai lavoratori. Nei pros­simi anni il panorama dei grandi gruppi sarà note­volmente trasformato con nuovi protagonisti.

La stessa ristruttu­razione modificherà ancora di più i rapporti di forza economici e inasprirà ulteriormente la competizione. Come abbiamo mostrato nelle argomentazioni prece­denti, l’accresciuta forza economica di alcuni paesi ne sta modificando anche la forza “intel­lettuale” e di “ricerca”. Pubblicazioni e brevetti si stanno spostando verso i nuovi centri emergenti. Che effetto avrà questo sui lavora­tori, compresi i lavora­tori più qualificati?

Per la particolare influenza che questi pro­cessi hanno sul futuro delle nostre vite, diventa ancora più necessa­rio confrontarci. Con le idee più chiare potremo inoltre essere punto di riferimento per quanti vogliono guardare oltre la propria scrivania… C’è solo un modo perché i lavoratori non vengano sacrificati “sull’altare” della produttività, cono­scere meglio e coalizzarsi!


SECONDO INCONTRO DEL TRIANGOLO
MI-TO-GE

Dopo una serie di riunioni cittadine a Milano, Genova e Torino, abbiamo deciso di organizzare questo secondo incontro del triangolo, a sei mesi circa dalla nascita del nostro coordinamento. L’obiettivo era quello di fare un primo bilancio del lavoro svolto nelle tre città del Triangolo, monitorando le realtà produttive che si sono collegate al coordinamento ed in cui è stato diffuso il bollettino.

Sono intervenuti lavora­tori di Leonardo (ex Finmec­canica), ABB, Prysmian, Accenture, Nokia, Safran e Stmicroelectronics.

Si conferma un terreno comune per il “mondo” degli ingegneri e tecnici, soprat­tutto in un momento eco­nomico come questo, caratterizzato da grande incertezza, e dove “snellire” il numero di dipendenti è sempre una manovra che viene premiata (nel breve periodo) dall’aumento dei titoli di borsa…

Se non altro in momenti come questi dovrebbe essere più semplice rendersi conto che l’azienda in cui lavoriamo non è la “nostra” azienda, ma una contro­parte che sempre più spesso rinuncia a capacità e com­petenze accumulate senza troppi scrupoli.

Il collega della Leonardo, si è fatto portavoce delle lotte del gruppo nelle set­timane di maggio scorso. A Genova i lavoratori, in gran parte proprio inge­gneri e tecnici, hanno sciope­rato collegandosi anche con altre realtà della città e, ele­mento assolutamente rile­vante, sono riusciti a saldare le rivendicazioni anche con gli addetti della miriade di aziende dell’indotto. Ne è scaturita una reazione orgo­gliosa, collettiva e proficua, in una fase economica che invece, purtroppo, vede più spesso i lavoratori sconfitti.

E’ emerso proprio quel tipico ORGOGLIO che ci caratterizza come tecnici PRODUTTORI. Vogliamo sot­tolineare: È POSSIBILE UNA REAZIONE DI DIFESA COL­LETTIVA che contrasta scelte aziendali che penalizzano i lavoratori. Non è scontata, non è semplice, ma dove ci sono stati uomini e organiz­zazione si è dimostrato che non è vero che bisogna sem­pre subire.

E’ intervenuto anche un collega della società francese SAFRAN di Parigi (azienda nata dalla fusione del 2005 tra la società di elettronica e di difesa SAGEM e quella aerospaziale SNECMA), in contatto con alcuni colleghi del coordinamento perché trasferito in Francia dopo gli studi al Politecnico di Milano. Le condizioni lavo­rative dei colleghi in Fran­cia sono ovviamente molto simili alle nostre. Due dati sono interessanti e vale la pena riportare. Il numero di dipendenti in Francia del gruppo RENAULT è pratica­mente ridotto ad un terzo tra il 1980 e il 2013, ma contemporaneamente il numero di ingegneri, tecnici e quadri è raddoppiato. Nell’Île-de-France, la regione attorno a Parigi, si concen­tra circa un sesto di tutta la popolazione francese, ma ben il 40% di tutti gli ingegneri e tecnici dell’esagono. Va da sé che un lavoro del nostro bollettino in una zona come quella troverebbe terreno fertile.

Interessante è stato anche il lavoro di collega­mento fatto in STMicroe­lectronics tra i vari siti del gruppo: a Grenoble(Fra), Agrate e Castelletto (ITA), Bouskaura (Marocco), e Malesia, con iniziative di mobilitazione e un comu­nicato congiunto. I colle­ghi dei vari siti assieme ad una ONG di nome REACT stanno cercando di agire tutti nella stessa direzione. E’ stato sollevato un aspetto a nostro avviso molto impor­tante: sembra parados­sale, ma in un mondo così interconnesso come quello attuale con potenti mezzi di comunicazione a disposi­zione, spesso le informazioni riguardanti le condizioni di vita e di lavoro dei colleghi nei vari siti produttivi anche dello stesso gruppo sono sottaciute o difficilmente reperibili.

In conclusione pos­siamo affermare che siamo contenti dei risultati otte­nuti, ma assolutamente non paghi rispetto a quello che abbiamo ancora da fare. Rimangono da sviluppare i tre obiettivi che ci siamo posti all’inizio del nostro percorso:

  1. Analizzare e compren­dere sempre meglio l’ambito generale in cui ci muoviamo. Il contesto aziendale ma soprattutto il quadro econo­mico di settore, le dinamiche mondiali e gli effetti delle nuove tecnologie.
  2. Procedere e intensificare le iniziative pubbliche nelle città in cui siamo presenti, mantenendo ogni tanto incontri a livello di coordina­mento del triangolo.
  3. Rendere concreta la pos­sibilità di collegamenti oltre confine.

Abbiamo fatto un altro piccolo passo in avanti nel dare corpo e attivare altri colleghi in prima persona.

Non abbiamo dubbi: la realtà impone sempre più la necessità di coalizione.


L’INGEGNERE NELLA STORIA
Parte I: L’escluso

In un mercato mondiale sempre più internazionalizzato, nel quale la crescente competitività e concorrenza fra i grandi gruppi è condotta, in modo non secondario, attraverso l’utilizzo di innovazioni tecnologiche e sviluppi scientifici, la presenza nelle imprese di forza lavoro scolarizzata e qualificata professionalmente è un elemento giustamente considerato determinante. Il ruolo dell’ingegnere è ovviamente legato alle condizioni economiche e sociali di una realtà che è prodotto di uno sviluppo storico. Proprio all’interno di questo svi­luppo, la figura e la collocazione sociale degli “ingegneri”, nel corso dei secoli, si sono profondamente modifi­cate. Ci e sembrato interessante proporre ai colleghi, le tappe di questo percorso storico attraverso una serie di articoli, nei quali gli “inventori di macchine” di volta in volta sono stati disprezzati, temuti, blanditi, pro­mossi o uniformati ad uno standard. Siamo convinti che siano elementi di riflessione che ci aiutano a meglio comprendere i nostri giorni.

Disegno antico di mulino ad acqua
Fonte: Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici

Antiparos, poeta greco del tempo di Cicerone, tessé una volta le lodi all’invenzione del mulino ad acqua.
Risparmiate il braccio che fa girare la macina, o mugnaie, e dormite serene! Invano il gallo vi annunci l’alba! Demetra ha imposto alle ninfe il lavoro delle schiave ed ecco che allegramente saltellano sulla ruota ed ecco che l’asse messo in moto gira coi suoi raggi, facendo muovere la pesante pietra girevole. Viviamo la vita dei nostri padri e godiamo oziosi dei doni accordatici dalla dea.” Ringraziando la dea per cotanto dono egli ipotizzò l’avvento di un’età dell’ozio. Tra gli antichi quell’epoca non è mai giunta, ed è anzi significativo che Antiparos stesso la descriva più come un ritorno al passato, alla mitica età dell’oro, che come un balzo in un futuro caratterizzato dal macchinismo.

Nella raccolta di scritti curata da Alexandre KoyréDal mondo del pressappoco all’universo della precisione“, Pierre-Maxime Schuhl formula una interessante ipotesi. L’antichità classica, egli dice, non ha conosciuto uno sviluppo delle macchine sebbene possedesse le basi conoscitive per realizzarne più d’una.

Un vero e proprio “blocco mentale” si frappose, secondo Schuhl, tra potenzialità e sviluppo tecnico.

Molto caratteristico – scrive il nostro autore – è l’aneddoto che Plutarco ci racconta nella Vita di Marcello a proposito di Archimede, che nulla avrebbe voluto pubblicare sulle tecniche geniali da lui impiegate nella difesa di Siracusa contro i Romani, perché da tali pubblicazioni si sarebbe considerato in qualche modo disonorato.

Interessante davvero. Il Siracusano, ingegnere ante litteram, pudibondo circa le applicazioni pratiche della sua scienza pura. Curioso atteggiamento se valutato con canoni odierni, ma affatto comprensibile se misurato con quelli di allora.

Macchinismo nell’antichità

Spiega Schuhl che l’antichità classica non ha conosciuto il macchinismo perché un’abbondante disponibilità di braccia in condizioni di schiavitù lo rese superfluo e che questa circostanza non mancò di avere il suo influsso sul piano delle idee. Nei ceti colti queste ultime assunsero, infatti, la duplice forma di disprezzo per il “lavoro meccanico” (ed i suoi esplicatori) e di contrarietà verso le macchine, spesso viste come “macchinazioni”, imbrogli nei confronti della natura: la quale “non usa leve”, sentenziava Plotino.

L’abbondanza di schiavi deve indubbiamente aver lasciato il segno: c’erano, erano molti e costavano poco. Marcel Reinhard (“Storia della popolazione mondiale”) valuta che intorno al 300 p.e.V. essi fossero 400 mila in tutta l’Attica, quattro volte i meteci, e che Roma non ne sentisse la mancanza se è vero che il solo Pompeo durante le sue imprese d’Asia minore ne catturò due milioni. Thomas Derry e Trevor Williams (“Storia della tecnologia”) raccontano che per Delo, il centro di smistamento dell’impero romano, ne passavano 10.000 al giorno al prezzo medio di 3-4 dracme, l’equivalente di altrettanti buoi. Non stupisce nemmeno il fatto che greci e romani disincentivassero e qualche volta proibissero la procreazione tra schiavi: un bimbo è solo un costo e l’abbondanza del mercato non stimola l’”allevamento“. In queste condizioni agli schiavi era dato di esprimersi come forza bruta, ai meteci di riservarsi il lavoro artigiano (ed inventivo), ai ricchi cittadini di pensare e, non a caso, di guardare al lavoro manuale alla maniera di Senofonte.

Nell’”Economico” questi scriveva: “Le persone che si danno ai lavori manuali non vengono mai elette alle cariche e ben a ragione. La maggior parte di loro condannate a star sedute tutto il giorno, alcune anche ad esporsi a un fuoco acceso in continuazione, non possono non averne il corpo alterato ed è difficile che lo spirito non ne risenta”.

Aristotele rincarava la dose, celebrando la superiorità delle arti liberali sulle altre in quanto uniche a non proporsi come fine l’utilità ed il lucro.

Schuhl: “Gli antichi artigiani andavano da una città all’altra, dovunque richiesti per la loro abilità, ma considerati un po’ come stregoni: basta ricordare le leggende relative alle statue semoventi opera di Dedalo e di Pigmalione. Gli artigiani capaci di creare opere siffatte erano personaggi a un tempo prestigiosi e inquietanti”. Di Pigmalione (pygmaios = nano) la leggenda narra che modellò una statua di Afrodite riuscendo ad animarla grazie all’intervento degli dei. Di Dedalo, gran costruttore anch’egli di statue semoventi, si racconta che inventò il trapano, uccise per invidia il nipote Talos, ideatore del tornio, fuggì a Cnosso per costruirvi il labirinto del Minotauro. Eccoli gli ingegneri dell’antichità, riveriti ma temuti, creativi, ma esclusi dal consesso dei saggi.

Macchine reinventate

Bertrand Gille, autore di “Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento”, ribadisce a suo modo la tesi già enucleata da Schuhl: le invenzioni che contano, si potrebbe dire, “vengono reinventate”, quando la loro applicazione pratica diviene possibile su una certa scala, e soprattutto congrua.

Ad esempio: se uno dei primi tentativi riusciti di muovere un piroscafo a vapore con ruota a pale è accreditabile al marchese Jouffroy D’Abbans, siamo sulla Saône nel 1783, è certo che i rudimenti essenziali per quella realizzazione sono di molto anteriori.

Tra gli “ingegneri” italiani del Rinascimento Gille cita Jacomo Fontana, ingegnere al servizio della Repubblica di Venezia ed autore, intorno al 1420, di una raccolta di disegni sotto il titolo di “Bellicorum instrumentorum liber”. Nell’opera di Fontana è raffigurata una nave con ruota a pale. Non è il primo caso, visto che anche il suo predecessore tedesco Konrad Keyser la disegnava ed è del resto noto che la flotta di Bisanzio utilizzava gli odometri: ruote applicate allo scafo, il cui compito era però limitato alla misurazione delle distanze percorse. Di interessante c’è che nella raccolta di Fontana il disegno della ruota si accompagna con quello dell’eolipila. Era quest’ultimo un congegno che faceva muovere una sfera grazie alla forza del vapore ed il nostro ingegnere rinascimentale lo riprende dai “Pneumatica” di Erone di Alessandria (1° sec. a.c.).

Jacomo Fontana giunge quindi fino al punto di raffigurare insieme gli elementi costitutivi di un piroscafo a vapore, ma è probabile che non abbia mai pensato ad integrarli, e l’“invenzione” nacque tre secoli e mezzo dopo. È significativo, per la tesi che stiamo sviluppando, che un contemporaneo di Fontana, tal Mariano Jacomo detto Taccola, senese, progettista di mantici idraulici per forni, spieghi essere a suo parere la “gabbia di scoiattolo“ la miglior fonte di energia per il movimento. Questo congegno si trova spesso raffigurato in bassorilievi e vasi romani, usato come motore per gru: uomini che salgono i pioli di una ruota creano il movimento continuo, proprio come fa per gioco lo scoiattolino o il criceto in gabbia. Si torna quindi al punto di partenza, all’abbondanza di energie umane a basso costo che rende inattuali certe intuizioni.

Macchine belliche

Bertrand Gille ricostruisce la storia documentaria di come, attraverso gli arabi, si tramandino al Rinascimento i testi di meccanica dell’antichità, le opere della scuola di Alessandria, dei romani Vitruvio e Vegezio, di Erone il bizantino.

Erano queste principalmente opere su macchine belliche, particolarmente interessanti agli occhi dei signori Sforza, Visconti, Malatesta e Montefeltro che infatti chiamarono a raccolta presso di loro numerosi ingegneri perché riproducessero, sviluppassero, applicassero quegli antichi ritrovati. Anche grazie alle nuove possibilità date dalla stampa, l’opera classica di Vegezio vide ad esempio nel corso del 1400 ben 18 edizioni ed è a Sigismondo Malatesta che Roberto Valturio dedica la sua opera omnia sulle macchine belliche. Sì, allora come oggi il settore “tirava”.


Le opere citate in questa pagina:

Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Pierre-Maxime Schuhl, Einaudi, 2000
Storia della popolazione mondiale, Marcel Reinhard, Laterza, 1971
Storia della tecnologia, Thomas Derry e Trevor Williams, Boringhieri, 1977
Economico, Senofonte, BUR, 1991
Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento, Bertrand Gille, Odoya, 2016
Bellicorum instrumentorum liber, Giovanni Fontana, 1420
Pneumatica, Erone di Alessandria


NOTIZIE FLASH

Si preannuncia un autunno piuttosto bur­rascoso per i colleghi di numerose realtà dell’in­dustria HIGH TECH a Genova. Mentre per­mane l’incertezza sul futuro di Toshiba, alle prese con un draconiano piano di ristrut­turazione varato a livello mondiale, prose­guono i licenziamenti di numerosi colleghi delle aziende dell’indotto che operano all’interno della neonata Leonardo. E’ oramai evidente a tutti che il prezzo più salato nel processo di fusione e di riorganiz­zazione delle aziende di Finmeccanica culmi­nato nella nascita di Leonardo, verrà pagato proprio dai colleghi che operano nell’indotto del gigante di Piazza Montegrappa. Anche a Genova si contano ora­mai a decine i colleghi di questo settore che sono stati licenziati, ai quali non è stato rinno­vato il contratto o, nel migliore dei casi, messi in ferie forzate in attesa di tempi migliori.

Ma il caso più dram­matico che ha tenuto banco questa estate è certamente quello di Ericsson. Fondata nel 1876 come negozio di riparazione di tele­grafi da Lars Magnus Ericsson. Il colosso svedese conta circa 115.000 dipendenti in 180 Paesi, Ericsson fornisce ser­vizi, software e infrastrutture in ambito ICT a operatori di teleco­municazioni, pubblica amministrazione e altre industrie.

In Italia Ericsson opera dal 1918 e conta oggi 3047 dipendenti di cui 665 a Genova, con una sede sulla col­lina degli Erzelli, dove dovrebbe svilupparsi un prestigioso polo HIGH TECH che ad oggi tarda per0’ a decollare.

Qui è presente anche un importante centro di eccellenza della Sie­mens, che conta circa 380 dipendenti, che diventano oltre 600, se si considerano anche le numerose aziende dell’indotto che vi ope­rano al suo interno.

Proprio alcune set­timane fa, anche Sie­mens ha annunciato un piano di riorganizza­zione focalizzato sulla sede genovese,che pre­vede lo scorporo di un ramo consistente della sede genovese (oltre 280 addetti). Anche in questo caso i colleghi si sono attivati per chie­dere garanzie sul pro­prio futuro, sulla sede di lavoro e sui livelli occupazionali, com­presi quelli dei lavora­tori dell’indotto.

Tornando a Ericsson Il 13 giugno scorso la multinazionale svedese ha annunciato l’enne­simo piano di ristruttu­razione, il 13° nel giro di pochi anni, che pre­vede in Italia 385 licen­ziamenti, di cui 147 a Genova. I colleghi hanno rispo­sto prontamente al piano aziendale, orga­nizzando numerose giornate di sciopero, alcune delle quali hanno visto la partecipazione attiva e la solidarietà concreta portata da numerosi colleghi di Leonardo, dell’Ansaldo Sts e della Siemens, per citare solamente le realtà più significa­tive. Se è vero che al momento questa gene­rosa mobilitazione non ha prodotto ancora i risultati sperati, è altret­tanto vero che i colleghi della Ericsonn di Genova stanno indicando con chiarezza ai lavoratori delle altre sedi presenti sul territorio nazionale, che la strada della coalizione è l’unica possibile per opporsi con deter­minazione ai piani di pesante ridimensionamento varati dalle mul­tinazionali sempre più frequentemente.

A questa importante esperienza si aggiunge quella degli ingegneri e tecnici di Leonardo, che nei mesi scorsi non hanno esitato a mobili­tarsi conseguendo l’o­biettivo di ottenere garanzie occupazio­nali e certezze per il futuro per i loro colleghi della Monetica ceduti a una piccola azienda fiorentina.

Quanto sta acca­dendo in queste aziende negli ultimi mesi conferma una realtà evidente oramai agli occhi di tutti: quando sono in gioco le prospettive professio­nali, se non addirittura il proprio posto di lavoro, l’ingegnere, il tecnico o il softwarista in giacca e cravatta e con badge al collo non esita a ripercorrere le strade tracciate dagli operai, persino nelle forme: assemblee, picchetti, scioperi e proteste in strada. Solo così anche altre forme di conte­stazione che si affian­cano, come testimonia quella messa in campo dai colleghi di Ericsson attraverso i “social net­works”, acquista più peso e può risultare più incisiva.

Queste prime significative esperienze, al di là delle forme e dell’e­sito che produrranno, indicano con chiarezza che la coali­zione tra col­leghi non solo è necessaria, ma è anche possibile. Una lezione di cui far tesoro nel prossimo futuro.


MIDEA-KUKA:
La Cina accentua lo shopping in Germania

La Cina punta al cuore dell’in­dustria 4.0 tedesca. Così alcuni giornali hanno commentato l’entrata nell’azionariato di KUKA (gigante tedesco nella produ­zione di ROBOT “ARANCIONI” simbolo nel mondo dell’automa­zione industriale) del più grande produttore di elettrodomestici cinese MIDEA. Il confronto tra le storie industriali dei due gruppi che abbiamo sommariamente riportato a lato, mostra bene il senso di questa acquisizione.

KUKA, è un’azienda più che secolare parte integrante della storia tedesca. Nasce sul finire del XIX secolo e attra­versa le due Guerre Mondiali e negli anni cinquanta passa dal campo delle macchine per saldatura e dei veicoli comu­nali, ad altri settori. Negli anni ottanta inizia l’espansione su scala mondiale con nuovi stabi­limenti in USA, Francia, Belgio, Italia. In occasione del cente­simo anniversario delle aziende KUKA (1998) vengono presen­tati diversi nuovi robot indu­striali ancora più potenti: dalla pallettizzazione di pacchi ingom­branti, alla concatenazione di presse per la lavorazione della lamiera, fino alla manipolazione di carichi pesanti. Dagli anni due­mila, numerose soluzioni per i settori industriali più svariati dimostrano l’ampio campo di applicazione dei robot KUKA. Robot per l’industria alimen­tare, robot Wash-Down per uti­lizzi che richiedono un’igiene particolare, robot impiegati nel test di sedili per l’industria del mobile e dell’aeronautica, solu­zioni di sistema per manipolare in condizioni di sicurezza i baga­gli negli aeroporti, e così via. KUKA quindi come tipico robot industriale, tanto che nel film “La morte può attendere”, che vede ancora una volta James Bond in azione, i robot KUKA affiancano gli attori Pierce Bro­snan e Halle Berry. Nel 2013 circa 40 anni dopo il primo impiego dei robot nell’industria, KUKA scrive un nuovo capitolo nella storia della robotica indu­striale grazie al proprio LBR iiwa. “LBR” significa “robot leggero”, mentre “iiwa” è l’acro­nimo di “intelligent industrial work assistant”. Robot pensati per un nuovo livello di coopera­zione con l’uomo.

La MIDEA invece nasce circa 50 anni fa nella provin­cia della Cina meridionale del Guangdong, e diventa in poco tempo un colosso mondiale. Midea Group ha in portafoglio marchi di condizionatori, frigo­riferi e lavatrici molto popolari nel Paese d’origine ma sempre più diffusi anche nel resto del mondo. Ha una trentina di stabi­limenti sparsi nei vari continenti, oltre 20 miliardi di dollari di fat­turato, un organico di 125.000 dipendenti. Il Gruppo MIDEA è inoltre una delle poche realtà industriali mondiali a possedere, all’interno della propria strut­tura, un Dottorato di Ricerca dove vengono studiati i “chip” di controllo dei climatizzatori, che MIDEA stessa produce e adotta sui propri apparecchi.

Se l’operazione MIDEA su KUKA andasse in porto, sarebbe la più grande acquisizione cinese per una ditta tedesca. Un importo di dimensioni simili a quella fatta dalla Beijing Enter­prise a febbraio 2016 per rile­vare la Eew, società tedesca attiva nel settore dell’energia. Secondo alcuni commentatori Midea con KUKA vuole trasfor­mare la sua linea di produzione con tecnologia robotica e mira a ridurre la sua forza lavoro di un quinto entro il 2018 a 80.000 unità. L’ascesa cinese nella catena del valore sta aumentando l’appetito per l’acquisizione di aziende in UE prevalentemente tedesche. Dall’inizio dell’anno il numero di acquisizioni effettuate da imprese cinesi in Germania ha raggiunto un picco rispetto agli anni passati alimentando una sensazione di “assedio” cui l’in­dustria tedesca si sente sot­toposta in casa propria. E’ presumibile che proseguirà la tendenza della Cina a diven­tare sempre più produttore a pieno titolo e non più solo imi­tatore o utilizzatore di prodotti tecnologici per la sua industria. Abbiamo scritto e sosteniamo che la ristrutturazione in atto nelle principali potenze econo­miche del mondo trasformerà in profondità il panorama dei prin­cipali gruppi economici nei pros­simi anni. Questo illustrato è un esempio, ci proponiamo di com­mentare anche i prossimi.

Cronologia sommaria KUKA

1898. L’ANNO DELLA FONDAZIONE: Johann J. Keller e Jacob Knappich fondano ad Augusburg-Oberhausen una fabbrica di acetilene per la produzione di economici sistemi di illumi­nazione stradale, domestica e fanali per automobili. Il nome KUKA deriva dall’acronimo: ”Keller und Knappich Ausburg”.
1918. DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE: Keller e Knap­pich riprendono le attività e iniziano con la produzione di argani di sicurezza, manuali e motorizzati con regolazione automatica del freno.
1920. IL CONTAINER: La KUKA affronta il settore dei contai­ner. Inizia anche la produzione dei primi, semplici elementi di carrozzeria.
1936. ELETTROSALDATURA A RESISTENZA: KUKA si converte all’elettrosaldatura a resistenza. Costruisce la prima pinza elettrica per saldatura a punti in Germania.
1956. LA SALDATURA MECCANIZZATA: KUKA costruisce i primi impianti di saldatura automatizzata per frigoriferi e lavatrici. Anche l’industria automobilistica tedesca sta stu­diando potenziali di razionalizzazione. KUKA fornisce la sua prima linea di saldatura a punti alla Volkswaghen AG.
1971. LA PRIMA LINEA DI SALDATURA A TRASFERTA ROBO­TIZZATA D’EUROPA: L’impianto fornito a Daimler-Benz AG per la produzione delle fiancate segna per il settore salda­tura di KUKA l’inizio di un nuovo capitolo.
1973. IL PRIMO ROBOT KUKA: Viene costruito il primo robot industriale al mondo con sei assi elettromeccanicalmente comandati, noto come FAMLUS.
1976. IL ROBOT IR 6/60: Sviluppo di un robot completamente nuovo: l’IR 6/60 con sei assi ad azionamento elettromecca­nico e un polso angolato. L’unità di controllo è fornita da Siemens.
1989. NUOVI ROBOT: Una nuova genereazio0ne di robot industriali viene presentata alla fiera di Hannover.
1999. DIAGNOSTICA A DISTANZA: Viene presentato il primo sistema di diagnostica a distanza per robot che funziona via internet.
2007. “TITAN”: È il nome del robot a 6 assi più forte al mondo (1000 Kg di portata).
2013. ROBOTICA SENSITIVA: Primo robot sensitivo prodotto in serie e pensato per la collaborazione uomo-robot, l’LBR iiwa si fa largo in settori finora preclusi all’automazione.

Cronologia sommaria MIDEA

1968. LA FONDAZIONE: He Xiangjjian fonda un laboratorio per la produzione di coperchi di bottiglie.
1980. INGRESSO NELLE APPLICAZIONI DOMESTI­CHE: Inizia la produzione di ventilatori elettrici.
1985. IL DECOLLO: Il primo condizionatore d’aria residenziale.
1993. LA QUOTAZIONE IN BORSA: Una parte di Midea viene quotata in borsa a Shenzhen.
2007. VIENTAM INDUSTRIAL PARK: Primi impianti di produzione all’estero.
2013. Midea Group viene completamente quo­tata in borsa.
2014. Xiaomi entra nell’azionariato di Midea Group con la prospettiva di una collaborazione nell’IoT.