Christine Lagarde, appena riconfermata alla guida del Fondo monetario internazionale in una recente intervista al giornale francese Journal du Dimanche si è pronunciata “sull’incertezza dell’Europa che è sempre più preoccupante”.
Diversi sono gli ambiti che hanno rivisto le stime a ribasso dopo questo primo trimestre dell’anno, confermando che resta sull’economia mondiale un clima di grande incertezza.
La ristrutturazione è un processo permanente nell’apparato produttivo. In certe fasi, però, quando lo scontro tra gruppi economici e perfino tra Stati si fa più aspro, la ristrutturazione accelera il passo.
SOMMARIO
Titolo | pag. |
Un mondo in rapida e caotica trasformazione | 1-2-3 |
Notizie flash | 4-5 |
L’epopea del cavo atlantico | 6-7 |
Alstom | 8-9 |
La missione Exomars | 10 |
STMicroelectronics | 11 |
Invito all’incontro | 12 |
UN MONDO IN RAPIDA E CAOTICA TRASFORMAZIONE
Potremmo dire che ristrutturazione significa per il capitale una diversa ripartizione tra le varie aree, tra le varie regioni dentro gli stessi Stati, una modifica della presenza nei diversi settori produttivi tendendo verso quelli che hanno maggiore quantità di tecnologia. Il gigante cinese, che è una delle fonti di preoccupazione per l’economia del mondo, sta cambiando pelle, ovvero sta attraversando una poderosa ristrutturazione che ricorda, pur con le dovute differenze, la ristrutturazione avvenuta in Europa negli anni Settanta. Questo non può non avere conseguenze sugli altri Paesi. La Cina dovrà intervenire sulla presenza di gruppi statali nelle miniere, nelle telecomunicazioni, nella siderurgia, e si prevedono grandi processi di concentrazione e conseguenti licenziamenti cospicui. Ma questo è solo una faccia della medaglia. Il 13° piano quinquennale del governo mette nel conto sì un rallentamento del ritmo di crescita annuo dal 10% al 6.5% (che appunto è fonte di grande preoccupazione per il resto del mondo), ma viste le dimensioni raggiunte dall’economia mandarina, una crescita del PIL a quel ritmo significa comunque aggiungere in 5 anni il PIL della Germania: 3820 MLD$!
La Cina “cambia pelle”
In un recente rapporto di Assoelettrica si condensano pochi numeri che ben rappresentano la trasformazione in atto. Secondo i dati ufficiali forniti dal National Bureau of Statistics cinese, diffuso lo scorso 29 febbraio, il consumo di carbone è sceso del 3,7%, l’energia nucleare è cresciuta del 30% e l’uso del gas naturale del 3,3%. Queste tendenze segnano una rapida diversificazione della capacità di generazione elettrica della Cina in direzione di una riduzione del predominio del carbone e confermano lo spostamento verso le fonti rinnovabili, grazie soprattutto al boom di solare ed eolico. Si registra un record di installazioni di nuova potenza eolica per la Cina nel 2015: i nuovi impianti hanno raggiunto quota 32.500 MW, facendo di Pechino la capitale mondiale delle fonti rinnovabili, considerando l’altro record già conseguito, quello delle nuove installazioni fotovoltaiche, che hanno raggiunto un totale nel 2015 di 18.300 MW. Secondo il Natural Resources Defense Council (NRDC), i numeri dimostrerebbero che le emissioni di CO2 della Cina nel 2015 sono diminuite rispetto al livello del 2014, che è stato un punto di svolta, grazie alla riduzione del ricorso al carbone e alla crescita delle rinnovabili. Certo il carbone resta il 64% del consumo totale di energia, ma appunto siamo nel pieno di un processo di ristrutturazione: nel 2016 la Cina dovrà tagliare 1 miliardo di tonnellate di capacità di produzione di carbone e 100-150 milioni di acciaio, mentre installerà 22.000 MW eolico, 16.000 MW centrali idroelettriche, 18.000 MW foto- voltaico e 6.000 MW di nucleare. Questo significa investimenti in nuovi settori e conseguentemente adeguare la formazione dei propri lavoratori alle nuove tecnologie. Secondo una recente inchiesta del New York Times il prossimo boom Made in China sarà quello dei laureati ed in una misura mai vista. Nell’ultimo decennio il Paese ha visto raddoppiare le università, mentre il numero di laureati è quadruplicato, raggiungendo la quota di 8 milioni all’anno. Di questo passo, entro il decennio, la Cina conterà 195 milioni di laureati contro 120 milioni di laureati americani.
Ristrutturazione 4.0
Nella lotta tra Stati e tra gruppi economici, come sempre ci saranno vincitori e vinti. L’America, l’Europa e gli altri Big mondiali stanno reagendo per restare competitivi. Tutti i settori economici sono coinvolti, ovviamente in vario modo ma nessuno escluso. L’introduzione di nuove tecnologie è la risposta che sperano di poter giocare. Basti pensare a come si è modificato il mondo delle banche, dei servizi finanziari con la progressiva diffusione dei robot advisor, il ruolo della robotica in generale, il peso crescente dell’e-commerce o come si sta evolvendo il mondo delle auto.
Bosch Italia sta lavorando dal 2011 al progetto di GUIDA AUTONOMA con 2500 ingegneri tra USA, Germania e Giappone. Secondo Bosch entro il 2018 le auto potrebbero essere dotate di pilota automatico di serie. Bosch produce MEMS (sensori micromeccanici) in 76 milioni di pezzi e prevede che nel 2019 saranno 173 milioni. La Mercedes (Daimler) ha presentato la 5° generazione della Classe E col sistema Drive Pilot che gestisce le code (mantenendo la distanza corretta anche a 210 km/h) e consente il sorpasso automatico.
I gruppi auto investono il 45% del Budget di R&S nelle auto connesse e il giro di affari non fa che salire e si punta su questo settore anche in vista dell’urbanizzazione crescente. (Affari & Finanza 21/3/16).
Ad aprile del 2015, ad Hannover, il Commissario UE all’Economia e Società digitali ha tenuto un discorso sulla necessità di coordinare a livello europeo gli sforzi nazionali in tema di Industria 4.0, in particolare attraverso la creazione di un Gruppo di alto livello che coinvolga due esperti del settore per ciascuno Stato membro, che possano cooperare per il lancio di almeno 5 progetti all’anno di piattaforme europee da qui fino al 2018.
Il 31 marzo è stata pubblicata una dichiarazione comune di Confindustria italiana e BDI (la Confindustria tedesca) che ha per titolo: “Industry 4.0 – challenges and opportunities for the economies of Italy and Germany”.
Le due economie caratterizzate da una forte base industriale, esortano i rispettivi governi a intervenire di fronte alla “tremendous evolution of information and communication technologies”. Secondo questo rapporto una quarta rivoluzione industriale rappresenta una sfida per i settori della manifattura Italiana e tedesca se vogliono assumere un ruolo di leadership nell’economia mondiale.
Smart mega cities
Un altro tema molto discusso è quello delle smart city. Sono effettivamente molteplici le possibili applicazioni di servizi “intelligenti” che sarebbe già oggi possibile implementare e nei quali alcuni gruppi si stanno “buttando”. È possibile leggere da remoto i contatori di gas, acqua, calore, è possibile collegare i cestini dell’immondizia che diverrebbero anche questi “intelligenti” comunicando alla centrale operativa quando sono pieni, controllo da remoto di parcheggi liberi, attivare l’irrigazione delle aree verdi collegandosi ad una rilevazione dell’umidità, sistemi smart di controllo del traffico e ovviamente tutto quello che riguarda lo smart transport nelle sue varie forme: car, moto e bike sharing, ecc.
La crescita delle Megacittà traina quella del pianeta. Nel 1950 le città con oltre 1 milione di abitanti erano 77, oggi 501, nel 2030 saranno 601. Secondo l’ONU entro il 2050 ben 7 abitanti su 10 vivranno in Megacittà. Secondo Bettencourt del Wall Street Journal, il mondo intero si sta urbanizzando ad una velocità da capogiro, ciò porterà nei prossimi 50 anni alla costruzione di più infrastrutture cittadine di quante se ne siano mai realizzate fino ad ora. Il 30 % del PIL globale oggi, viene dalle 100 città più popolose.
Da una parte è senz’altro vero che le Megacittà sono la nuova frontiera dell’innovazione tecnologica, ma dall’altra a giudicare da come avviene lo sviluppo in questi anni, la formazione di “slum”, ovvero sterminate periferie degradate, sembra essere il tratto prevalente.
Quindi le città del futuro saranno senz’altro MEGA, che siano anche SMART sarà da vedere…
La battaglia dei cervelli
Stando sul piano del mutamento la competizione futura si giocherà in gran parte anche su investimenti e know how. La ricerca e sviluppo segna un fronte importante in questa sfida.
Analizzando la spesa per R&S dai dati dell’Asso-ciazione italiana per la ricerca industriale (Airi), la dinamica di questi ultimi venti anni è a dir poco impressionante. (VEDI FIGURA 1)
La Cina incrementa la propria spesa per R&S di ben 33 volte mentre gli altri Paesi nello stesso periodo hanno un incremento su se stessi tra le due e le tre volte. Significa che 20 anni fa la spesa per R&S cinese era equivalente a quella italiana, mentre oggi è quasi 12 volte maggiore!
In Cina ci sono già 200 scienziati italiani attirati da laboratori e budget enormi messi a disposizione da Stato e università. La disciplina dove più si è presenti è la fisica ad esempio nel progetto JUNO (Ricerca neutrini con centro a Jiangmen). Il governo della Cina per sopperire alla mancanza di scienziati, si stima che manchino un paio di generazioni, dal 1998 ha raddoppiato i posti nelle università e dal 2008 ha lanciato il programma per far rientrare in patria 1000 talenti.
Italia in ritardo
Dalla pubblicazione annuale dell’OECD del 2015 “Education at Glance” è possibile evincere tre fotografie efficaci di come è la situazione della spesa pubblica per la formazione scolastica italiana ai vari livelli. (VEDI FIGURA 2) Rispetto alla media OECD, l’Italia è in posizione centrale per l’educazione primaria, un po’ sotto la media per la secondaria e decisamente fanalino di coda per la spesa “terziaria”, ovvero università e corsi post diploma. Come affrontare la battaglia di competitività se questo è il punto di partenza ?
Giro del mondo in 80 stipendi
Una ultima considerazione riguarda il livello di stipendio degli ingegneri in Italia a confronto di quello di altri Paesi. Il tool creato dalla fondazione Wageindicator.org che si appoggia alla Università di Amsterdam ha messo on line un numero consistente di informazioni legate al mondo del lavoro. È vero che sono dati puramente indicativi, ma secondo una elaborazione del Sole 24 ORE che riportiamo in FIGURA 3, è evidente quanto grande sia il range tra i livelli contribuitivi nei vari Paesi considerando ad esempio un ingegnere che ha cinque anni di esperienza lavorativa nel settore dell’auto. Il Sole 24 ORE enfatizza sul potenziale di scelta del giovane ingegnere che può cercarsi il posto dove viene pagato meglio. Mentre, in realtà “il costo” dei lavoratori così differente in un mondo sempre più “piccolo” più che consentire ai singoli di scegliere dove andare a lavorare per essere pagati meglio, permette alle aziende di scegliere dove anche i knowledge workers costano di meno. La coalizione tra colleghi è un obbiettivo non più rinviabile.
ACCENTURE: Accento su quale futuro?
Accenture è un colosso della consulenza con 373.000 addetti nel mondo. Un dipendente danese partecipò ad un concorso per dare il nome all’azienda e costruì la parola comprimendo l’espressione Accent on the Future. L’azienda si presenta come innovatrice non solo in quanto partner delle Società clienti nell’ottimizzazione dei processi gestionali e tecnologici, ma anche nella gestione delle proprie risorse. È una delle prime in Italia ad aver iniziato a sperimentare lo smartworking, prevede politiche di assunzione che equilibrino il rapporto uomini-donne, ha da poco lanciato un programma di valutazione e promozione dei dipendenti che non si basa più su giudizi calati dall’alto, ma su democratiche meaningful conversations, e che porrebbe le ambizioni della singola persona al centro della questione. Questo quadro da “accento sul futuro” contrasta però con alcune contraddizioni che spesso trasformano le aspirazioni in frustrazioni. L’orario di lavoro è più che flessibile e avere la possibilità di lavorare da casa può essere un vantaggio nell’organizzazione del bilanciamento vita-lavoro, ma senza una regolamentazione del tema si rischia di estendere sempre di più la seconda componente… L’incertezza e la precarietà sono crescenti, vista l’instabilità del mercato e le ultime riforme del mondo del lavoro. Il tutto è condito da salari che a Milano sono di molto inferiori, anche a parità di figura professionale e di costo della vita, rispetto a quelli dei colleghi che lavorano nelle altre metropoli europee, come evidenziato dal grafico riportato. Anche confrontando la retribuzione di un Manager rispetto a quella di un Analista software, ci si accorge che a Milano il rapporto è circa 2.1, mentre nelle altre città si assesta intorno a 1.8. Mantenendo fisso il numeratore, per ottenere lo stesso rapporto un Analista a Milano dovrebbe guadagnare circa 3.000 euro lordi all’anno in più. Ci chiediamo quindi quale sia il futuro che si prospetta per i lavoratori di Accenture, ma soprattutto come possiamo incidere per renderlo migliore, magari accompagnando alle meaningful conversations con i nostri capi un dibattito tra colleghi, anche di altre realtà, che vivono situazioni simili alla nostra.
COMMSCOPE: Allinearsi ai costi “cinesi” dei competitor
La CommScope è una multinazionale dell’IT che conta ad oggi circa 20mila dipendenti nel mondo. Si occupa di produrre e fornire componenti per le reti wired e wireless, spaziando dal rame alla fibra, dai server ai componenti per stazioni radiobase della telefonia cellulare. In Italia sono presenti due siti, ad Agrate Brianza e Faenza. Il sito di Agrate deriva dall’acquisizione della multinazionale Andrew, specializzata in tecnologie radio, che ha appunto portato in dote la già acquisita Forem, ditta brianzola fondata nel 1972 che nel suo massimo sviluppo è arrivata ad impiegare 450 persone in due stabilimenti, di cui uno di produzione sito a Capriate, oltre al sito di Agrate dedicato all’R&D. L’ondata di ristrutturazione che ha investito la “silicon valley” lombarda ha portato alla delocalizzazione della produzione in Cina, alla chiusura dello stabilimento di Capriate e al ridimensionamento del sito di Agrate, con una pesante ondata di licenziamenti che ha decimato l’organico portandolo a 180 persone. L’asset italiano di CommScope è legato al mondo della telefonia cellulare e dei nuovi servizi dati, che hanno conosciuto negli ultimi anni un vero e proprio boom dovuto alla comparsa degli smartphone e delle App; il ramo in cui opera il sito di Agrate, letteralmente, non è stato toccato dalla crisi economica. Gli ultimi anni hanno visto per CommScope profitti da record, e una politica assertiva di acquisizioni e fusioni; l’ultima in ordine cronologico con TE Connectivity (cavi, fibre e connettori) ha praticamente raddoppiato la stazza della multinazionale. Questo non esclude nuovi tagli al personale, anzi è tipico che come risultato della fusione vi siano parziali sovrapposizioni di ruoli in reparti o addirittura di interi siti; nuove riduzioni di organico si profilano sicuramente all’orizzonte. Mala tempora currunt, e nell’ottica del perenne cost reduction il “tagliare teste” anche con “colletti bianchi” è ormai un obiettivo manageriale divenuto periodico, e ben accolto dalle dirigenze.
NOKIA – ALCATEL LUCENT: Dopo la fusione, gli esuberi
Il 6 Aprile a Helsinki, la direzione di Nokia ha annunciato ai comitati aziendali europei di Nokia e Alcatel-Lucent, riuniti congiuntamente, il piano di ristrutturazione che segue di qualche mese l’acquisizione di Alcatel-Lucent. Nokia si appresta a ridurre il 14% della forza lavoro impiegata a livello globale. La mossa prevede la rimozione di 10-15mila posti di lavoro, a fronte di un personale complessivo di 104mila dipendenti. A livello europeo gli esuberi annunciati sono quasi 4.000 su circa 34.000 dipendenti. Per l’Italia sono stati annunciati 219 esuberi sui 1.480 dipendenti: una riduzione gravissima, dopo i pesantissimi tagli effettuati negli scorsi anni in entrambe le aziende. Più in dettaglio in Italia gli esuberi stimati sono 119 a Vimercate, sede Alcatel, 1.071 i dipendenti attuali; e ben 100 sui 409 addetti superstiti nella sede cassanese di Nokia Solutions Network. ll piano presentato prevede, entro fine anno, lo smantellamento della sede Nokia di Cassina e il trasloco di tutti gli addetti a Vimercate, nel campus-distretto tecnologico Energy park. Ancora una volta la “riorganizzazione, armonizzazione e ottimizzazione” si traduce in riduzione del personale e razionalizzazione delle sedi.
FINMECCANICA: La profonda ristrutturazione continua
Dal primo Gennaio le storiche aziende del gruppo (Alenia, Agusta, Selex, Otomelara, W.A.S.S.) sono confluite nella cosiddetta Finmeccanica One Company, che dal 2017 cambierà nuovamente nome in Leonardo Spa. Ma i cambiamenti non riguardano solo il nome. La ristrutturazione prevede la rifocalizzazione delle aree di business in cui il gruppo interverrà, con tutto quello che ne consegue dal punto di vista delle ricadute occupazionali. Dopo alcuni mesi dall’avvio di questi processi alcuni nodi stanno arrivando al pettine. Finmeccanica sta iniziando a dismettere attività attraverso la loro cessione a piccole aziende, in processi che sembrano rassomigliare per lo più a dei licenziamenti per procura. Dopo l’uscita di alcune attività di networking, cedute senza colpo ferire, in queste settimane sta venendo a maturazione la cessione del reparto di Monetica nella sede di Genova. In questo caso i colleghi stanno però provando a reagire per difendere i propri posti di lavoro e le proprie professionalità. Alle dismissioni si affianca inoltre un altro problema ovvero le ricadute sulle aziende dell’indotto di Finmeccanica, circa 100.000 lavoratori in Italia, in buona parte precari, che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro. Colleghi spesso caratterizzati da alte professionalità, che stanno iniziando a prendere consapevolezza della propria condizione cominciando a porsi il problema della necessità della coalizione: quanto accaduto a Genova con il recente sciopero dei giovani precari è in tal senso un segnale incoraggiante. Il fatto che ci siano giovani lavoratori che lottano per difendere il posto di lavoro e le proprie condizioni professionali non può che essere per noi un elemento positivo su cui riflettere.
TOSHIBA T&D: I bilanci truccati pagati dai lavoratori
Sono pesanti gli effetti della ristrutturazione avviata dal gruppo Toshiba a livello mondiale dopo lo scandalo dei bilanci truccati che ha travolto i massimi vertici del gigante nipponico. Il piano “lacrime e sangue” avviato lo scorso anno è stato ulteriormente rivisto portando il numero di esuberi nel mondo a 12.700 unità, dai 10.600 previsti nel precedente piano. Ha subito preoccupato i colleghi di Genova la notizia che una parte dell’incremento, 550 unità, è contabilizzato nel settore T&D, che per l’Europa ha il suo quartier generale a Genova. E, come se non bastasse, è stato ulteriormente inasprito il piano di “taglio costi” che, com’era facile intuire, si sta scaricando sui lavoratori. Nella sede di Genova dopo il licenziamento di 2 colleghi a fine dello scorso anno, a cui ha fatto seguito l’azzeramento del premio risultato, oggi è la volta del trattamento trasferte che è stato riportato a quello minimo previsto dal contratto nazionale, mentre il regime degli orari è stato inasprito. Il tutto con una decisione unilaterale dei vertici aziendali. Una risposta compatta di tutti i colleghi è quanto si sta discutendo in questi giorni, nella torre W.T.C. che ospita la Toshiba a Genova.
ABB: Incertezze sul futuro
Prosegue la ristrutturazione mondiale di ABB. Ai piani di taglio dei costi, si sovrappongono rumors, rimbalzati sulla stampa internazionale, relativi a piani di vendita di importanti assets per un riposizionamento sul mercato. Addirittura a metà marzo è trapelata la voce di un possibile spacchettamento del gruppo per metterlo tutto quanto sul mercato. I lavoratori del gruppo hanno iniziato la mobilitazione contro il piano di ristrutturazione che li riguarda in modo diretto. Il piano, denominato White Collar Productivity, infatti dovrebbe portare alla fuoriuscita da ABB di migliaia di lavoratori in tutto il mondo, la maggior parte dei quali in Europa. In Italia i lavoratori del sito di Sesto San Giovanni (MI) , quello maggiormente colpito, hanno scioperato ben quattro volte in un mese. La partecipazione è stata ampia e le manifestazioni sono culminate nel blocco stradale fatto insieme ai lavoratori di GE- Alstom il 17 febbraio. Anche gli altri siti, a partire da quello di Genova, si sono mobilitati con assemblee e scioperi. Nel frattempo si è aperto un altro fronte di crisi legato ai problemi del mercato internazionale dell’Oil & Gas in seguito ai quali è stata aperta una cassa integrazione a zero ore per l’unità del gruppo che si occupa di questo settore. Si ha la consapevolezza che le battaglie che coinvolgeranno nei prossimi mesi i lavoratori di ABB saranno lunghe e difficili, ma al contempo si fa strada l’idea che solo un’azione collettiva può sperare di arginare gli effetti di questa ristrutturazione.
TENOVA: Gli effetti della crisi siderurgica
La crisi della siderurgia sta facendo sentire I propri effetti nefasti anche sulle aziende di progettazione di impianti dedicati a questo settore. Dopo la chiusura della sede di Milano, che ha comportato il licenziamento di 40 lavoratori e il trasferimento dei “sopravvissuti” nella sede di Castellanza, sono sempre più insistenti le voci di un imminente ridimensionamento anche nella sede genovese. Nel frattempo l’azienda ha informato le organizzazioni sindacali della disdetta del premio risultato.
L’EPOPEA DEL CAVO TRANSATLANTICO
Il 95% del traffico attuale di voce e dati intercontinentale transita attraverso la rete dei cavi in fibra ottica posati sui fondali marini. Oggi l’intera rete sottomarina in fibra raggiunge il milione di chilometri ed è trascorso un secolo e mezzo dalla posa del primo cavo telegrafico transatlantico. La rete di fibra ottica attuale che innerva l’intero mondo è figlia di quel primo cavo la cui posa è una vera e propria epopea che ha avuto come protagonisti ingegneri, scienziati, banchieri, industriali e governi.
Scienza, finanza, industria, Stato
Nel 1852 i tempi di consegna per nave di una lettera partita da Londra erano di 12 giorni per giungere a New York. Il telegrafo rivoluzionò il rapporto tra lo spazio e il tempo. L’idea di collegare con il telegrafo il Regno Unito con gli USA nacque da un progetto dell’ingegnere telegrafico inglese Frederick N. Gisborne, rimasto impressionato dal successo del collegamento telegrafico sotto la manica, e dall’entusiasmo di Cyrus Field, ricco mercante e finanziere di New York. Dopo aver verificato la teorica fattibilità tecnica, nel 1854 Field organizzò la New York, Newfoundland and London Telegraph Company. Dopo aver realizzato la linea telegrafica da New York a St. John in Terranova, lunga mille miglia, che era il passo preliminare per l’opera completa, il passo seguente di Field fu andare in Inghilterra per cercare sostegno al vero e proprio cavo transatlantico. Appurata la fattibilità tecnica del progetto, nel 1856 venne costituita la Atlantic Telegraph Company. I mercanti e gli armatori di Liverpool, Glasgow, Manchester, Londra furono tra i sottoscrittori più entusiasti. Il governo americano e quello britannico garantirono la fornitura delle navi.
Gli ingredienti del progetto del cavo atlantico erano stati messi insieme: c’erano la finanza americana e inglese, gli ingegneri e gli scienziati britannici, l’industria britannica per la costruzione dei cavi, l’appoggio della marina americana e inglese, la garanzia finanziaria del governo inglese. Tutto sembrava andare secondo il piano. C’era solo un grande difetto, che nessuno, a parte William Thomson (futuro Lord Kelvin), capì in anticipo: il cavo sottomarino non si comporta come quello terrestre. L’ostacolo imprevisto rischiò di far fallire l’intera impresa.
Uomini pratici e matematica
Nella prima metà del XIX secolo, per i pionieri della telegrafia terrestre la natura fisica del segnale non era il problema principale da risolvere: anche senza la sua comprensione il telegrafo di terra funzionava egualmente. I primi cavi sottomarini che attraversavano la Manica, da Dover a Calais nel 1851 e da Dover a Ostend nel 1853, rivelarono fenomeni inspiegabili: il segnale era ritardato e c’erano distorsioni.
Il primo a dare una spiegazione fu Michael Faraday: un cavo in acqua non solo conduce cariche elettriche ma anche le immagazzina, si comporta come un condensatore con l’isolante come dielettrico, e il ritardo è dovuto al tempo di accumulazione delle cariche. Faraday era uno scienziato sperimentale dalla grande intuizione, che mancava però di una formazione matematica: comprese l’essenza del fenomeno fisico ma non fu in grado di misurarlo (David Lindley, “Degrees Kelvin”, 2004). Se un fenomeno elettrico non capito creava problemi a un cavo di 70 miglia, dall’Inghilterra all’Olanda, cosa sarebbe successo per un cavo di 2.600 miglia? Il dilemma si pose agli ingegneri e agli scienziati della telegrafia.
Ispirato all’interpretazione di Faraday, William Thomson giunse alla conclusione che il ritardo del segnale non dipendeva dalla lunghezza del cavo ma dal quadrato della stessa. Scriveva che, se in un cavo di 200 miglia il segnale aveva un ritardo di un decimo di secondo, in un cavo di 2.000 miglia avrebbe avuto un ritardo non di 10 ma di 100 volte, cioè di 10 secondi. Poiché ogni parola era composta di molti segnali in codice Morse, la trasmissione di un intero messaggio avrebbe richiesto molto tempo.
Era una scoperta scoraggiante per i promotori del cavo atlantico, perché il ritardo sembrava rendere non economica la trasmissione.
I promotori del cavo atlantico ritennero di procedere egualmente.
Faraday, Morse e Whitehouse (quest’ultimo posto a capo della parte scientifica dell’impresa da Field) preferivano un cavo con un conduttore di piccolo diametro, forzando il segnale con un aumento della tensione elettrica; Thomson pensava invece che fosse necessario aumentare il diametro del cavo, ridurre il segnale al minimo e migliorare gli strumenti di ricezione.
Per Whitehouse, se l’analisi di Thomson fosse stata vera, il cavo avrebbe dovuto avere un diametro di mezzo metro invece che pochi centimetri, e sarebbe stato così pesante da rendere impossibile l’intera operazione, non esistendo all’epoca una nave in grado di trasportarlo. Le idee elettriche di Whitehouse che erano errate, contribuirono però alla realizzazione dell’impresa, perché la rendevano possibile agli occhi dei finanziatori.
Il fallimento delle prime due spedizioni
Nella prima spedizione, partita ai primi di agosto del 1857, poiché nessuna delle navi dell’epoca era in grado di portare un cavo di 2.600 tonnellate, esso venne diviso in due parti di 1.300 tonnellate l’una: una venne caricata sulla nave a vapore statunitense US Niagara di 5.200 tonnellate; l’altra venne caricata sulla nave da guerra britannica Agamemnon di 3.200 tonnellate, anch’essa a vapore.
Durante il primo tentativo le due navi si mossero insieme, in modo che, quando una avesse terminato la posa della prima metà del cavo, sarebbe subentrata l’altra. Alla profondità del mare di circa 4.000 metri il solo peso del cavo creava una tensione di trazione di 2,5 tonnellate: per evitare la rottura, il cavo di rame era irrobustito da un’armatura d’acciaio. Ma dopo 300 miglia di navigazione il cavo si ruppe.
La seconda spedizione avvenne l’anno dopo. Si decise di partire dalla metà dell’Atlantico: dopo avere unito le due metà del cavo, le due navi avrebbero navigato nella direzione opposta per giungere sulle due coste dell’Atlantico. Il 25 giugno 1858 la Niagara e l’Agamemnon si incontrarono, le due parti del cavo vennero saldate e poi le navi si mossero in direzione opposta. Anche questa volta dopo 200 miglia il cavo si ruppe (Bern Dibner, “The atlantic cable”, 1959).
Terzo fallimento
Fu la determinazione di Cyrus Field e il supporto del governo britannico a imporre un terzo tentativo. Iniziò il 29 luglio del 1858 dalla metà dell’Atlantico. Il 5 agosto l’Agamemnon giunse nel porto di Valentia, Irlanda, mentre la US Niagara giunse a Trinity Bay, Terranova. La componente navale – ingegneristica dell’operazione era stata portata a termine.
Fu un successo di breve respiro. All’entusiasmo si sostituì rapidamente lo sconforto, perché per trasmettere il messaggio di congratulazioni di 98 parole della regina d’Inghilterra al presidente americano Buchanan vennero impiegate 16 ore e mezza. La trasmissione della risposta di 149 parole richiese 10 ore. La realtà confermava l’analisi matematica di Thomson. In un mese vennero inviati solo 400 messaggi: era un disastro economico. Dopo un mese il segnale si interruppe: la responsabilità sembra sia stata di Whitehouse che, per ridurre il tempo di trasmissione, avrebbe alzato la tensione a 2.000 volt, perforando l’isolante e mettendo fuori uso il cavo.
Il nuovo cavo
Dopo il fallimento del terzo tentativo del 1858, il governo britannico garantì il sostegno finanziario solo alla condizione che il cavo funzionasse. Venne nominato un comitato composto dalle più alte personalità della scienza e dell’ingegneria britanniche per indagare sulle cause dei fallimenti precedenti: l’impegno industriale e finanziario era troppo grande e non si poteva più procedere per tentativi, era necessaria una pianificazione scientifica.
Campioni di cavo vennero sottoposti a prove per determinarne la dimensione ottimale, la forma e la composizione. Il risultato finale fu un cavo con un diametro di 28 millimetri contro i 13 del precedente, del peso di 720 kg per chilometro contro 400, resistente a una tensione di trazione di 5.800 kg contro i 2.400 precedenti. Il peso totale era di 3.000 tonnellate. Il nuovo cavo era lungo circa 4.300 km e nel trasporto doveva essere tenuto costantemente in serbatoi pieni d’acqua per evitare il deterioramento dell’isolante.
L’enorme peso e la necessità di tenerlo in serbatoi d’acqua portò a scartare la soluzione di utilizzare due navi. Esisteva al mondo una sola nave in grado di trasportarlo, la Great Eastern di 23.000 tonnellate.
Dopo che Thomson ebbe definito la teoria della trasmissione telegrafica con un cavo sottomarino, il maggior problema fu la raccolta dei capitali per pagare i cavi e le navi. A questo scopo venne costituita una nuova compagnia, la Telegraph Construction and Maintenance Company. John Pender, mercante tessile di Manchester, fu il capofila nella raccolta di un milione di sterline (circa 6-7 miliardi di dollari attuali) messi a disposizione principalmente da industriali e mercanti tessili di Glasgow e Manchester. Con Pender il cavo atlantico da anglo-americano divenne un’impresa dell’Impero britannico.
Finalmente il successo
Il 23 luglio 1865 la Great Eastern salpò ma il 2 agosto, dopo avere percorso 1.200 miglia, il cavo si ruppe. Un’altra battaglia era stata persa, tuttavia venne deciso di ripetere il tentativo deponendo un nuovo cavo, alleggerito a 640 kg/km, ma in grado di sopportare una tensione di trazione di 6.150 kg. Il 30 giugno del 1866 iniziò il quinto tentativo, terminato con successo il 27 luglio. Questa volta il fenomeno del ritardo del segnale era ridimensionato e la trasmissione avveniva in tempi brevi: era possibile ottenere un profitto. Nell’impresa erano stati impiegati quasi 12 anni e un investimento corrispondente a circa 17 miliardi di dollari attuali.
Seguendo le indicazioni di Thomson – aumentare il diametro, usare rame puro uniforme e uno strumento da lui costruito, il galvanometro a specchio – si potevano trasmettere a bassa tensione 8 parole al minuto.
Scienza: forza produttiva al servizio del capitale
Per la gestione del cavo, Pender costituì la Anglo-American Telegraph Company. Con altre innovazioni rapidamente si passò a trasmettere 15-17 parole al minuto e, in dollari attuali, il prezzo di trasmissione di una parola scese dai 120 dollari del 1866 ai 5 dollari del 1888. Nel 1900 la britannica Telegraph Construction and Maintenance Company produceva i due terzi dei cavi sottomarini mondiali. Si affermò il dominio britannico nei cavi sottomarini, e anche la potenza economica americana dipese, per le comunicazioni telegrafiche attraverso gli oceani, dalla Gran Bretagna, sino al decennio seguente la Seconda guerra mondiale.
Per quanto riguarda lo sviluppo della scienza fu la conferma del limite dell’empirismo e la necessità di strumenti teorici per affrontare l’elettromagnetismo.
La matematica astratta si converti in strumenti ingegneristici, i principi della termodinamica diventarono efficienza delle macchine a vapore, la matematizzazione dell’elettricità si concretizzò nella trasmissione sotto l’oceano di “parole”.
Ma l’opera industriale – scientifica – tecnologica, divenne realtà perché consentiva un tornaconto economico.
ALSTOM
La mutazione di un grande gruppo
La storia di Alstom è emblema, in una certa misura, del modo in cui i grandi gruppi industriali si muovono sul mercato mondiale alla ricerca di sempre maggiori profitti, modificando, talvolta radicalmente, le loro produzioni, acquisendone di nuove, dismettendone di vecchie, mettendo in questo modo da parte storia, tradizioni, competenze tecniche.
Alstom rappresenta, ancora oggi nonostante tutto, uno degli emblemi francesi dell’alta tecnologia, ma ha significativamente ridotto il suo perimetro di attività, essendo sostanzialmente limitato al settore dei trasporti ferroviari di cui è leader mondiale.
La data di nascita di Alstom è il 1928 quando la Thomson Houston Electric Company e la Societe Alsacienne de Construction Mecanique si fondono per dar vita a un nuovo soggetto, il cui nome ingloba le due società genitrici, Alsthom. Le sue attività sono nel campo dell’ingegneria per la produzione di energia e delle costruzioni meccaniche connesse.
Già nel 1932, la neonata società espande i suoi interessi nell’ambito delle costruzioni ferroviarie con l’acquisizione della Constructions Electrique de France.
Nel 1969, la CGE (Compagnie Générale d’Electricité) diviene il maggiore azionista di Alsthom e questa, forte dei nuovi capitali, espande ulteriormente le sue attività al settore della cantieristica navale tramite la fusione con Chantiers de l’Atlantique.
Ed ecco che si arriva alla storia più recente. Nel 1989 la General Electric Company GEC (oggi Marconi) e la CGE (successivamente Alcatel) che era allora il maggior azionista di Alsthom, fondono le loro attività nei settori energia ed elettromeccanica dando vita alla GEC-Alsthom. La mossa di GEC e CGE serviva a concentrare la loro attenzione sui settori delle telecomunicazioni e information technology, quelli che sembravano promettere maggiori sviluppi e conseguenti maggiori utili.
Nel 1998 la GEC-Alsthom acquisisce le attività di trasmissione e distribuzione della AEG.
Nel frattempo le due società genitrici, GEC e CGE, confermano i loro piani di fuoriuscita dal settore energetico e dei trasporti e vendono ambedue il 23,6% del capitale di GEC-Alsthom. GEC-Alsthom, sempre più autonoma, dopo aver cambiato denominazione in Alstom, inizia una serie di acquisizioni che la portano a raddoppiare il fatturato:
1998 acquisizione di Cegelec, filiale di impiantistica industriale e automazione di Alcatel;
1999 creazione della joint venture paritetica ABB-Alstom Power con la svizzera ABB per la produzione di turbine;
2000 acquisizione di Fiat ferroviaria che produce tra le altre cose il Pendolino;
2000 acquisizione del 50% di ABB della joint venture per la produzione di turbine di cui dunque acquisisce il totale controllo.
Dopo tre anni trionfali il gruppo entra in crisi. In primo luogo i brevetti delle grandi turbine acquisite da ABB mostrano una serie di problemi tecnici che determinano ingenti esborsi per la messa a punto e per le penali da pagare ai clienti.
In secondo luogo, il fallimento di Renaissance Cruise uno dei maggiori acquirenti di navi da crociera evidenzia un’esposizione di 1,3 miliardi. Gli azionisti di riferimento Alcatel e Marconi si defilano e Alstom è lasciata sola a se stessa.
Due successivi piani di ristrutturazione tra il 2002 e il marzo 2003 che prevedono tra le altre cose, dismissioni per 3 miliardi, una ricapitalizzazione per 600 milioni e un taglio di 7000 dipendenti non migliorano la situazione che, nell’agosto 2003 è a rischio fallimento.
A questo punto interviene lo Stato francese che propone di entrare nel capitale Alstom con una quota del 30%.
A questa parziale nazionalizzazione del gruppo si oppone il Commissario europeo alla Concorrenza Monti che giudica questa operazione contraria alle normative europee sulla concorrenza.
Il Ministro degli Esteri francese Mer difende l’intervento statale: “Alstom è un’impresa europea e non puramente francese e i suoi concorrenti sono americani e giapponesi.”
Si arriva a una soluzione di compromesso. L’intervento dello Stato francese è un prestito obbligazionario e non un’acquisizione di azioni. Le banche francesi ed estere concedono ulteriori crediti rispettivamente per 1,4 e 1 miliardo di euro.
Per contropartita Alstom deve ristrutturarsi cedendo attività: le turbine industriali per 950 milioni alla Siemens; all’Areva sempre per 950 milioni vengono cedute le attività di trasmissione e distribuzione. Cede anche la sua divisione marittima alla norvegese Aker Yards.
Alstom vantava fino al 2004 il secondo posto nella cantieristica navale delle navi da crociera dietro la Fincantieri.
Il gruppo subisce quindi una fortissima ristrutturazione che l’ha portata a concentrarsi in due settori: energia e trasporti ferroviari.
Arriviamo ai giorni nostri. Alla fine del suo lungo processo di ristrutturazione Alstom si presenta sì come un gigante, ma un gigante nano rispetto ai suoi diretti concorrenti. Nel 2013 il fatturato di Alstom è di 27,6 miliardi di dollari; quello di General Electric (GE) e Siemens, suoi diretti concorrenti, è rispettivamente 146,2 e 103,7.
Serve una base finanziaria gigantesca per sviluppare le tecnologie nell’ambito della produzione di energia e quella di Alstom non sembra di dimensioni adeguate.
Nell’aprile 2014 GE annuncia un’offerta per l’acquisizione dell’intero settore power di Alstom per un valore complessivo di 16,9 miliardi di dollari. La partita dell’acquisizione di Alstom diventa immediatamente politica e strategica. Il governo francese esprime preoccupazione sia per il ridimensionamento della futura Alstom, ridotta al suo solo settore ferroviario, sia per la perdita di tecnologia del settore power, con importanti connessioni alla filiera nucleare, che passerebbe in mani americane. Esattamente come un decennio prima, viene issata la bandiera dell’europeismo e si spinge verso un polo europeo del settore cruciale della generazione e trasmissione di energia. E infatti viene avanzata una controproposta di acquisto da parte della cordata Siemens-MHI per le turbine a gas e per le reti di trasmissione energia. Il tentativo europeo in realtà sarebbe più complesso perché determinerebbe la creazione di un polo europeo dell’energia con l’acquisizione del settore power di Alstom da parte di Siemens e la simmetrica creazione di un polo europeo delle ferrovie con la cessione del comparto ferroviario di Siemens ad Alstom. Il tentativo europeo fallisce anche per la troppo grande sovrapposizione di attività tra i due gruppi che avrebbe creato inevitabilmente problemi organizzativi e occupazionali. La proposta di GE viene dunque definitivamente accettata e approvata dalle Commissioni Anti trust di UE e USA nel novembre 2015.
GE, subito dopo il raggiungimento del controllo di Alstom, avvia un piano di ristrutturazione che prevede 6500 esuberi in Europa e la chiusura di una serie di stabilimenti, tra cui quello di Sesto San Giovanni.
Tornando alla considerazione iniziale, la storia di Alstom passa dalla nascita come industria per l’energia, il successivo espandersi nel settore ferroviario e poi in quello della cantieristica. Quindi la ricerca di maggiori margini da parte delle società genitrici, che si spostano sui settori telecomunicazioni e IT, fa in modo che Alstom si muova sulle sue gambe arrivando a una crisi che, prima determina la fuoriuscita dalla cantieristica navale e poi dal settore da cui prende vita, quello dell’energia.
Il motore che spinge tutto ciò è la ricerca di sempre maggiori profitti, il suo corollario è il taglio di posti di lavoro e la distruzione di competenze.
Aziende come Alstom, ai vertici della tecnologia, hanno una forte componente di tecnici tra i loro impiegati. E quindi inevitabilmente anche loro sono e saranno sempre più pesantemente coinvolti nei processi di ristrutturazione dei prossimi anni. È fondamentale che questa categoria di lavoratori, poco incline nel passato a organizzarsi collettivamente, maturi la consapevolezza dei reali rapporti che li legano alla loro azienda e quale sia la molla che spinge i consigli di amministrazione delle loro aziende nelle scelte che fanno sulla loro pelle.
LA MISSIONE EXOMARS
Il sogno della conquista di Marte
Lunedì 14 marzo è partito dalla base spaziale di Baikonur in Kazakhstan il missile Proton con il satellite Exomars 2016, composto dal modulo TGO, che orbiterà attorno a Marte, e dalla sonda EDM (rinominata Schiaparelli, in onore dell’astronomo italiano che nella seconda metà del XIX secolo studiò il Pianeta rosso), con il compito di scendere sulla superficie del pianeta misurando tutti i parametri necessari per la futura discesa di un rover.
Exomars è un programma promosso dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) in collaborazione con quella russa (Roscosmos), ed è diviso in due missioni: la prima, Exomars 2016 partita il marzo scorso, e la seconda, Exomars 2018, che sarà a sua volta composta da un satellite e da un rover che, sceso sul suolo marziano, avrà il compito di scandagliare la zona di “ammartaggio” e, effettuando alcuni carotaggi del terreno ed analizzandoli nel mini laboratorio biochimico, cercare eventuali segni di vita marziana.
L’insieme delle due missioni farà sicuramente progredire le nostre conoscenze sull’evoluzione di Marte, e forse sulle dinamiche che hanno permesso la formazione dei pianeti e la vita sulla Terra.
Come è ormai prassi in ogni settore ad alta tecnologia, il progetto Exomars è frutto della collaborazione tra diverse nazioni, centinaia di aziende a vari livelli e diverse migliaia di tecnici e specialisti in diverse discipline sparsi per il mondo, principalmente in Europa.
La conquista di Marte è un sogno che coinvolge direttamente e indirettamente migliaia di ingegneri e tecnici. Non solo. Con la grande eco pubblicitaria che questa missione europea ha avuto, il Pianeta rosso è diventato il sogno di milioni di europei che guardano con entusiasmo le nuove conquiste della scienza e l’esplorazione dello spazio.
Tra i molti commenti a questa missione un particolare interesse riveste quello di Christian Stoffaes, presidente del francese Circolo degli ingegnerieconomisti, apparso su Les Echos. L’autore prende spunto dal lancio di Exomars per fare un punto sul settore spazio in Europa.
“La questione è se e in che modo l’Europa può mantenere il proprio rango nella mondializzazione dello spazio tra l’high tech americana e i bassi costi delle potenze emergenti – Cina e India che bussano alle porte del club.
I grandi progetti tecnologici hanno bisogno di sogni. Sono costosi per le finanze pubbliche, e richiedono il continuo sostegno dell’opinione pubblica per mantenere questi consistenti bilanci. Quindi, al di la dei responsabili politici, è l’opinione pubblica che deve essere convinta.
Ieri era l’obbiettivo Luna che faceva sognare, oggi è Marte. Ma far sognare non è sufficiente. Si deve anche dimostrarne l’utilità economica e sociale e gli effetti di ricaduta verso altri settori”.
In sostanza le imprese spaziali hanno bisogno del consenso della politica e dell’opinione pubblica, ed entrambe le cose dipendono dal sogno che si vende!
STMICROELECTRONICS
Nuovi sbocchi, nuove ristrutturazioni, vecchie incertezze
La rapidità con cui si sta evolvendo la tecno-logia oggi è evidente a tutti. Gesti che oggi sono considerati banali, come ad esempio sfogliare un quotidiano dal proprio smartphone oppure controllare il riscaldamento di casa tramite Internet, fino a pochissimi anni fa sarebbero stati considerati pura fantascienza. Tra le nuove sfide tecnologiche stanno emergendo sempre più il cosiddetto Internet of Things (IoT) e l’high tech per il settore automotive. ST, tra i maggiori produttori di chip a livello mondiale, si gioca una partita importante proprio su questi due fronti.
Internet of Everything
Nello scorso bollettino abbiamo ricordato come l’Internet of Things stia diventando sempre più un settore su cui molte aziende produttrici di chip stanno puntando. L’avvento di microcontrollori sempre più piccoli e con ridotti consumi energetici, oltre alla rapida diffusione di internet e della connettività wireless, sta per- mettendo sempre più di far comunicare tra loro vari oggetti: ad esempio un sensore di temperatura può inviare i valori registrati a una piatta- forma cloud, la quale a sua volta può controllare la caldaia in modo da regolare la temperatura, oltre a inviare all’utente le statistiche sui consumi energetici in un dato periodo. La tendenza è quella di andare oltre la connessione delle cose e passare al concetto di Internet of Everything (Internet del tutto), ovvero la possibilità di interconnettere tra di loro dispositivi, persone, processi e dati. Secondo Cisco, il business dell’IoE potrebbe arrivare, entro il 2025, a valere 19 mila miliardi di dollari. Guardando il grafico riportato (secondo una stima di BI Intelligence), possiamo vedere come, entro il 2020, i dispositivi con- nessi nel mondo saranno più che triplicati rispetto a oggi, in cui la maggior parte sarà costituita da IoT, dispositivi indossabili (wearables) e automobili connesse. Quest’ultimo è un settore in cui le più grandi case automobilistiche stanno investendo di più. Lo sforzo è quello di arrivare, entro il 2020, ad avere auto in grado di scambiare informazioni tra loro ed essere predisposte per la guida autonoma.
Svolte in ST
ST oggi si sta concentrando principalmente nelle due direttrici di sviluppo dell’IoT e dell’automotive. Su Corriere Economia di marzo si registra che: “Le tecnologie digitali nell’auto, la digitalizzazione delle vetture, dei sistemi di sicurezza e di geolocalizzazione, hanno fatto sì che su 10 sistemi di sicurezza a livello avanzato, nove in-corporino tecnologia STm”. Una linea strategica, quella di ST, che la porta ad avere più di 40 mila clienti diversi, dalle grandi case automobilistiche al mass market. In controtendenza rispetto a un passato non troppo remoto, in cui ST dipendeva quasi esclusivamente da un solo grande cliente (Nokia mobile), che aveva portato come conseguenza una grossa crisi interna costata “1,6 miliardi di dollari in termini di fatturato perso”, perdita di competenze nel settore della connettività e centinaia di lavoratori costretti a cambiare lavoro. Nell’ottica di questo rinnovamento è collocata anche la chiusura delle attività riguardanti la produzione di Set top box. Tale disimpegno avrà come conseguenza che 2000 lavoratori saranno co-stretti a cambiare lavoro: 600 di questi rimarranno dentro ST, con altre man-sioni, mentre i restanti 1400 saranno esuberi. Il piano dovrebbe toccare gli stabilimenti francesi, indiani e americani.
Incertezze e necessità
Il mercato dei semi- conduttori si sta facendo sempre più agguerrito: NXP e Freescale hanno appena completato la loro fusione, Microsemi Corporation ha acquisito PMC-Sierra, Micro- chip Technology ha completato l’acquisizione di Atmel e Intel ha annunciato di aver acquisito Altera Corporation. Inoltre, secondo l’Economist di gennaio, il governo cinese sta portando avanti un piano di investimenti proprio nel settore dei semiconduttori che va dai 100 ai 150 miliardi di dollari, con l’obiettivo dichiarato di “passare dall’attuale 10% al 70% della produzione dei chip utilizzati nell’industria cinese”. In questa guerra tra grandi gruppi, per spartirsi quote di un mercato incontrollabile e dove l’in- certezza è l’unica regola, spesso i primi a subire direttamente le conseguenze sono i lavoratori. Non è vero quindi che “basta fare bene il proprio lavoro” per non avere brutte sorprese… Proprio perché investimenti, dinamiche del mercato e trasformazioni tra gruppi economici non dipendono dai lavoratori, è ben sviluppare una visione collettiva dei problemi e indurre a far crescere lo spirito di coalizione di fronte alle incognite del futuro.
invito all’incontro