I principali organismi internazionali confermano per il 2017 un andamento positivo, potrebbe essere l’anno di svolta. A 10 anni dalla crisi la ripresa sembra generalizzata e si prevede un andamento in crescita fino al 2020. Anche l’Europa è al giro di boa: le stime di dicembre della BCE migliorano rispetto alle precedenti e indicano + 2,4% per il 2017, + 2,3% per il 2018.
Con queste previsioni per i prossimi anni come lavoratori dovremmo aspettarci un futuro roseo, ma nessuna illusione. I tempi burrascosi non sono affatto terminati e la lotta per la conquista dei mercati in espansione sta già caratterizzando il prossimo futuro.
SOMMARIO
Titolo | pag. |
Dalla crisi alla lotta per la conquista dei mercati in espansione | 1-2-8 |
IG Metall e FIOM: proficui incontri | 3 |
L’ingegnere nella storia (parte V) | 4-5 |
ABB: mobilitazioni contro le prospettive incerte per EPC | 6 |
Energia: settore dai mille volti | 7 |
DALLA CRISI ALLA LOTTA PER LA CONQUISTA DEI MERCATI IN ESPANSIONE
I capitali accumulati negli anni di crisi, grazie anche alla compressione salariale, si stanno riversando sul mercato mondiale con investimenti consistenti in una lotta globale sempre più acuta. I lavoratori dei settori più globalizzati dovranno affrontare ristrutturazioni, esternalizzazioni, cessioni e acquisizioni.
Documentiamo alcuni dei processi di investimento in atto in vari settori.
Via della seta
Nel 2013 la Cina lancia il progetto OBOR: “One belt, one road”, detto anche Nuova Via della Seta. L’OBOR vedrà coinvolti oltre 60 paesi e si articolerà in due rotte principali: una prima via terrestre tra Cina, Asia Centrale, Russia ed Europa, e una seconda marittima che collegherà il Gigante Asiatico con l’Oceano Indiano e il Sud del Pacifico. Un progetto che prevede un insieme di infrastrutture che interessa strade, ferrovie, porti, telecomunicazioni, basi navali, oleodotti e gasdotti: sono previsti investimenti complessivi per oltre un migliaio di miliardi di dollari nei prossimi anni. Sono cifre enormi in grado di influenzare in profondità lo sviluppo euro-asiatico-africano; la OBOR rappresenta la penetrazione della Cina nel mercato mondiale e ridefinirà le sfere di influenza per i prossimi decenni.
Significativamente il presidente francese Macron in visita in Cina nei primi giorni di gennaio ha dichiarato che “le antiche Vie della Seta non sono mai state solo cinesi. Per definizione queste strade possono essere solo condivise, non possono essere a senso unico”. Molto chiaro ed esplicito l’appello alla “reciprocità” tra la Cina e l’Europa in vista dei progetti miliardari.
Energia, efficienza energetica
Negli ultimi anni lo sviluppo delle energie alternative è stato molto forte e il mercato si sta spostando in quella direzione. Da qui le difficoltà di gruppi come RWE ed E.On a seguito della decisione di Berlino di abbandonare il nucleare: per il settore è prevista una perdita di più di 23 miliardi. Siemens cerca strade che possano mitigare il massiccio taglio di posti di lavoro nel comparto centrali elettriche, si parla di 6.000 esuberi; le turbine vendute nel 2011 furono 250, la capacità produttiva globale è di 400, attualmente la richiesta è 110. Stessa situazione per General Electric, questo grazie ad una maggiore efficienza energetica e agli aiuti alle rinnovabili. La battaglia per l’efficienza energetica segnerà i prossimi anni, in Italia vale fino a 35 miliardi di euro da qui al 2020. Sono queste le cifre contenute nell’Energy Efficiency Report 2017 realizzato dall’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano.
Nell’ultimo anno solo in Italia gli investimenti nel settore sono stati più di 6 miliardi di euro, in crescita dell’8% sull’anno precedente.
Mercato dell’ambiente
Con l’adozione del Circular Economy Package del 2015 l’UE ha stanziato ingenti finanziamenti a disposizione dei territori europei: 1.150 milioni di euro gestiti direttamente dall’Europa (650 attraverso il progetto Horizon2020 e 500 attraverso progetti di partnership pubblico-private, i cosiddetti PPPs) e altri 5,5 miliardi di fondi strutturali a disposizione delle regioni. Vengono promessi 600/800mila posti lavoro in più, tra cui 190mila in Italia entro il 2030, sembrerebbero al netto dei posti persi dall’attuale sistema: staremo a vedere.
Telecomunicazioni, smartphone e semiconduttori
Il mercato degli smartphone continua a cambiare molto rapidamente. Nel 2008 Nokia non temeva rivali, possedeva il 40% della quota globale mondiale dei telefoni cellulari. Dietro vi erano le coreane Samsung e Lg, le europee Siemens, Alcatel e Ericsson, l’americana Motorola.
Una leadership che probabilmente le ha impedito di comprendere la rivoluzione che si stava compiendo: iOS (Apple) e Android (Google). Nokia restava aggrappata al suo sistema operativo Symbian e come è finita lo sanno tutti.
Il 2017, a 10 anni dal lancio del primo iPhone, sarà ricordato come l’anno in cui il duopolio Samsung-Apple è stato scalzato dall’emergere dei grandi gruppi cinesi, infatti nei primi 10 posti mondiali ci sono ben 7 marchi (Huawei, Oppo, Vivo, Xiaomi, Zte, Lenovo e TCL-Alcatel).
Negli scorsi anni, le aziende della Cina hanno acquistato marchi già noti della telefonia come Alcatel e BlackBerry (finite nelle mani di TCL Corporation), o come Motorola, che dopo essere stata acquistata da Google è ora di Lenovo.
La crescita di Huawei è la palese dimostrazione di quanto investimenti in R&S siano determinanti per raggiungere la qualità di progettazione dei concorrenti. Oggi il gruppo conta 16 centri di ricerca e sviluppo, 36 joint Innovation Center e 45 Training Center in tutto il mondo.
I produttori di hardware si ingegneranno nell’innovazione incrementale, migliorando le caratteristiche degli schermi, le capacità dei processori, ecc. Probabilmente si chiude un ciclo decennale avviato nel 2007, ma anche un’epoca segnata dall’espansione senza confini della telefonia mobile. È aperta la lotta per definire gli standard della futura 5G. Sulla base di questa architettura dovrebbero decollare l’“Internet delle cose” e la rivoluzione dell’industria 4.0.
Anche nel mercato dei SEMICONDUTTORI che “tira” in tempi di digital trasformation si registrano novità. Secondo i dati Gartner su scala globale si assiste ad un cambio al vertice in termini di fatturato: in prima posizione c’è oggi Samsung, che ha messo la freccia superando Intel al vertice dal 1992. In terza posizione Sk Hynix, mentre al quarto posto si piazza Micron, che guadagna due posizioni rispetto al 2016. A movimentare il mercato nei prossimi mesi, potrebbe intervenire l’offerta di Broadcom per il takeover su Qualcomm.
Entro il 2021, il mercato digitale avrà massicciamente ridisegnato lo scenario economico mondiale. Secondo l’ultimo report di Idc (International data Corporation), quest’anno gli investimenti cresceranno del 16,7% rispetto al 2017. La maggior parte delle risorse sarà destinata alle tecnologie abilitanti della cosiddetta Terza Piattaforma: IoT, robotica e intelligenza artificiale.
È opportuno ribadire che non sempre maggiori investimenti significano anche migliori prospettive per i lavoratori. Ericsson, ad esempio, che per bocca del suo presidente non è in crisi ma in “trasformazione” annuncia un piano di 14 mila esuberi e la nuova società controllata Ericsson Services Italia, nata il 1 gennaio, è uscita dal contratto nazionale delle telecomunicazioni e avviata verso un proprio contratto aziendale.
Auto
L’auto è per definizione un settore trainante, ci sono al mondo 1,3 miliardi di veicoli passeggeri e commerciali. Secondo fonti autorevoli, i prossimi 5 anni porteranno più cambiamenti che nei precedenti 30 grazie all’auto elettrica e elementi connessi: le alleanze con Apple e Google di alcune case di produzione automobilistiche ne sono la prova. I problemi tecnici da affrontare sono ancora molti, la minore autonomia derivata nella minore densità energetica delle batterie rispetto alla combustione, il basso rendimento delle batterie e il loro costo, ma la soluzione è ritenuta potenzialmente raggiungibile, basti pensare al salto fatto con la batteria “leggera” al litio rispetto al piombo, frutto di anni di investimento in ricerca.
La Cina cerca di accelerare dando impulso alla ricerca, l’obiettivo è di avere nel 2020 il 12% delle immatricolazioni con motore elettrico o ibrido, partendo dal 4% attuale.
La Toyota lancia un piano da 13,3 miliardi di dollari per nuovi modelli elettrici puri (10 entro il 2020) e nuove batterie. La Volkswagen ha annunciato investimenti per 20 miliardi entro il 2030, ed altri 50 miliardi per acquistare batterie. Solo l’alta concentrazione del settore può permettere tali investimenti. Molteplici sono gli intrecci e le ripercussioni con altri settori.
ENEL e AUDI firmano, ad esempio, un accordo per includere alcuni servizi come avere l’installazione di una infrastruttura di ricarica apposita in garage se si acquista un SUV elettrico. Sempre ENEL ipotizza di installare 14 mila “colonnine” di ricarica entro il 2022.
Per quanto riguarda le materie prime si è registrata un’impennata di prezzi per NICKEL, LITIO e COBALTO perché aumenta la richiesta dovuta alla produzione per batterie di auto elettriche ma anche di smartphone e PC. In una parte del mondo si sviluppa la scienza e la sua applicazione pratica, ma spesso si dimentica che le materie prime necessarie sono estratte dalle miniere con uno sfruttamento di tipo ottocentesco che coesiste con la immensa capacità tecnica moderna. Il Congo produce 2/3 del cobalto mondiale e utilizza anche bambini di 7 anni come denunciato dal rapporto di Amnesty International del 2016.
Sta a noi lavoratori
Il nostro intento è cercare di avere una visione complessiva di quello che sta avvenendo. I processi di sviluppo tecnologico sono i benvenuti e noi, spesso con piacere, ne siamo professionalmente coinvolti, ma questi processi non sono neutri. La regola per le aziende è ottenere il maggiore profitto possibile, quindi può succedere che da protagonisti passiamo ad essere di “troppo” dal punto di vista economico. Dove processi di ristrutturazione si presentano, affinché non vengano subiti senza reazione, l’organizzazione sindacale, la coalizione, il superamento del localismo e del protezionismo possono fare la differenza: solo la reazione organizzata e collettiva dei lavoratori porta le aziende a trattare alternative.
Ma l’organizzazione non si improvvisa. Occorrono più colleghi che si mettano in gioco direttamente. La portata e l’estensione di questi processi richiedono forme di organizzazione sindacale che superino i confini nazionali, la nostra azione come coordinamento ingegneri e tecnici va in questa direzione.
Anche questo mese riportiamo degli incontri tenuti ultimamente dai consigli di fabbrica con colleghi europei. Sono incontri che possono diventare regolari ed esistono già pubblicazioni congiunte.
Episodi interessanti, ci dimostrano che quanto affermiamo trova riscontro e che siamo sulla strada giusta, c’è molto da fare, per questo è necessario anche il tuo contributo attivo.
IG Metall e FIOM
PROFICUI INCONTRI
Nel numero di novembre abbiamo riportato la costituzione del coordinamento dei consigli di fabbrica della siderurgia e la redazione del primo bollettino dell’acciaio.
Riportiamo altri due incontri in Italia fra IG Metall e FIOM.
Convegno a Bologna
IG Metall di Ingolstadt e di Wolfsburg incontra la FIOM Bologna ed Emilia-Romagna. Il tema centrale è stato: “Pratiche contrattuali e Strategie di sindacalizzazione nella trasformazione del sistema produttivo”.
Un tema centrale dibattuto è stato come affrontare la sindacalizzazione di ingegneri e tecnici. Le analogie della mentalità impiegatizia sia in Germania che in Italia sono maggiori di quanto si possa superficialmente immaginare.
Efficacemente un funzionario dell’IG Metall ha sintetizzato con “io me la cavo da solo” il modo di pensare dominante in questi strati di lavoratori. Consapevole di queste “resistenze”, ha portato esperienze interessanti di sindacalizzazione nel settore dei servizi di ingegneria di PSW, EDAG e Bertrandt. Inoltre, è stato presentato un progetto di IG Metall per l’area impiegatizia della Volkswagen. La conclusione significativa è che se un organismo sindacale vuole rapportarsi alle conseguenze nel mondo del lavoro prodotte dalle trasformazioni industry 4.0, deve avere come priorità quella di investire con uomini e mezzi nella direzione di creare spirito di coalizione e quindi di sindacalizzazione tra i dipendenti altamente qualificati.
Un altro aspetto che merita attenzione e future ulteriori riflessioni è quello sottolineato dal segretario della FIOM dell’Emilia-Romagna. I cambiamenti tecnologici in atto, stanno portando alla probabile perdita di posti di lavoro in alcuni settori. Dunque, un obiettivo da porsi, per non subire solo gli aspetti negativi ma per tradurre in vantaggio l’aumento della produttività, è la conquista della 32 ore di lavoro settimanali entro i prossimi 10 anni.
Incontro a Genova
Il 15 settembre 2017 tra FIOM di Genova e IG Metall dal titolo “Tecnici e produttori in Europa, esperienze a confronto”
C’è un fattore comune: gli incontri nascono dal territorio, l’esigenza di un confronto e di scambi con i colleghi è evidente. Occorre insistere ed estendere anche ad altre regioni occasioni come queste per rendere più concrete le discussioni in corso.
All’incontro di Genova sono intervenuti delegati di importanti realtà del settore, ospite è stato Jurgen Buhl responsabile aerospazio e difesa di IG Metall. Riportiamo una sintesi dell’intervento del collega della RSU di Leonardo che ha chiuso i lavori.
Genova polo industriale internazionalizzato
Genova è una città industriale che negli ultimi trent’anni si è profondamente trasformata, passando da essere la capitale del capitalismo di stato italiano ad essere un polo industriale fortemente internazionalizzato.
Oggi la città è caratterizzata dalla presenza di grandi gruppi internazionali sul suo territorio: Hitachi Rail (con acquisizione Ansaldo STS), Shanghai Electric (socio in Ansaldo Energia), Port Authority di Singapore (terminal VTE), Ericsson, Siemens. Staremo a vedere se arriverà ArcelorMittal nell’affare ILVA.
In questi luoghi di lavoro opera quella che può essere definita la “classe operaia” del ventunesimo secolo, composta in primis da ingegneri, tecnici e operai altamente specializzati. Un’altra presenza di rilievo è Leonardo. Il più importante gruppo della difesa e aerospazio italiano che ha a Genova una delle sedi più importanti. Per le dimensioni delle aziende italiane può essere considerata un colosso, ma non lo è rispetto ad altri competitor internazionali.
Leonardo ha, oggettivamente, rapporti organici e costanti con grandi colossi europei come risulta evidente dalla sua partecipazione nel consorzio Eurofighter e nelle joint venture in cui è presente insieme ad Airbus, Bae System, Thales.
In un libro della IG Metall di Brema, un capitolo si intitola “Tempi turbolenti”. Una definizione molto azzeccata per caratterizzare il futuro dei lavoratori, anche nel settore della difesa e dell’aerospazio. La tendenza alla formazione di grandi campioni europei, per reggere il confronto con le nuove potenze emergenti, è un fenomeno che oggettivamente aumenta l’incertezza per la forza lavoro del comparto composta in maggior parte da ingegneri e tecnici.
A questo si somma quell’agenda europea delle riforme per la contrattazione che, dopo il Jobs Act di Renzi, vede Macron in Francia come ultimo interprete, e che è nei fatti una politica con aspetti negativi per i lavoratori salariati.
Inoltre, le dinamiche internazionali e le necessità politiche dei vari stati determinano l’andamento del mercato della difesa e quindi influenzano direttamente le aziende in cui lavoriamo.
Necessità di un sindacato all’altezza dei tempi
Appare evidente la contraddizione tra lo spirito del produttore giustamente orgoglioso dei risultati del proprio lavoro e il caos di questo modo di organizzazione sociale.
Alla luce di ciò è necessario per i lavoratori che in queste aziende operano e per i sindacati che li rappresentano, alzare lo sguardo sul mondo per capire queste dinamiche e non rimanerne schiacciati. Su questo fronte il ritardo sindacale europeo è significativo.
Il Lavoratore può capire la propria collocazione solo se guarda al di là dalle quattro mura della fabbrica o degli uffici. Il confronto con l’IG Metall, serve a questo: a capire dove siamo, quali prospettive vediamo per il futuro e come dobbiamo organizzarci. Non è un caso che il confronto sia con IG Metall che è l’esperienza più avanzata in Europa con un comune obiettivo: un sindacato all’altezza dei tempi.
L’INGEGNERE NELLA STORIA
Parte V: Il razionalizzatore
Proseguiamo con gli articoli a carattere storico. L’intento, come abbiamo già esplicitato, è quello di fornire spunti di riflessione a proposito della “figura” e della collocazione sociale degli ingegneri nel corso dei secoli. Tappe utili anche per meglio comprendere la situazione attuale.
Contrariamente alle attese di T. Veblen (“La teoria della classe agiata”), la generazione degli ingegneri americani, senza pianificarla coscientemente, mette in opera una vera e propria “controrivoluzione”. Marciando sotto le bandiere della scienza e della tecnica, essa diverrà la propugnatrice dell’“organizzazione scientifica del lavoro”, ovvero dell’arte di piegare le esigenze dell’uomo a quelle della macchina, anziché fare il contrario secondo il sogno di Antiparos.
Progettare l’America
David F. Noble ci racconta, col suo “Progettare l’America”, attraverso quale processo tutto ciò è avvenuto, ed è una storia molto istruttiva. Intanto alcuni dati ed alcune date forniscono il senso del parallelismo tra lo sviluppo industriale americano e la crescita politecnica.
Nel 1816 non si contano negli USA più di 2 ingegneri per ogni stato federato. Negli anni ’40 è Abbot Lawrence, pioniere dell’industria tessile, a finanziare l’istituzione di studi scientifici all’università di Harvard, che fino al 1874 non laurea neppure un ingegnere. Nel 1861, in piena guerra civile, nasce il Massachusetts Institute of Technology (MIT), che assume come suo motto il latino “Mens et manus”.
Sempre di quell’anno è il Morill Act: una legge che stabilisce contributi federali per l’istituzione di scuole tecniche.
Nel periodo tra il 1862 e il ’76 le scuole tecniche crescono negli States da 6 a 70, saranno 85 nel 1880, 126 nel 1917. Il numero annuo di laureati in ingegneria cresce dai 100 del 1870 ai 4.300 del 1915. Nel 1900 operano in USA 45.000 ingegneri, cresceranno fino a 230.000 nel 1930.
D. Noble ci dice che, ancora nel 1945, il rapporto tra ingegneri ed operai dell’industria era di 1 a 225, tra maschi e femmine di 999 a 1 e che per il 75% essi erano figli di professionisti e piccola-borghesia, quasi tutti anglosassoni protestanti. La scolarizzazione di massa e, con essa, la nuova collocazione del tecnico laureato è quindi cosa del secondo dopoguerra.
Il dollaro innanzitutto
Ma con quale spirito e per quali compiti viene preparata la prima leva degli ingegneri USA?
Henry Towne, presidente della Yale and Towne Manif. Co. e membro dell’ASME (American Society of Mechanical Engineers), sentenzia nel 1886: “… il dollaro è il termine finale di tutte le equazioni che si incontrano nella pratica dell’ingegneria”.
Il presidente dell’Associazione ex Allievi dello Stevens Institute dice nel suo saluto al convegno del 1888: “L’aspetto finanziario dell’ingegneria è sempre il più importante: quanto prima il giovane ingegnere rinuncia all’idea che la sua sia la posizione più importante… tanto meglio sarà per lui. Dovrà sempre rimanere in una posizione subordinata rispetto a coloro che rappresentano il denaro investito in un’impresa”. Dichiarazioni cristalline, che informano la filosofia delle nascenti associazioni degli ingegneri americani.
Nel 1852 nasce l’American Society of Civil Engineers, nel 1880 quella degli ingegneri minerari, nel 1884 l’ASME, nel 1908 si riuniscono in associazione indipendente gli ingegneri chimici. Queste associazioni non hanno un carattere sindacale, non si avvicinano al movimento sindacale dei lavoratori. Anzi, da una ricerca risulta che nel periodo 1884-1924 i due terzi degli ingegneri impiegati nella grande industria divengono dirigenti entro i 15 anni di lavoro.
Lo scientific management
È durante i meeting dell’ASME, ai primi del ‘900, che prende corpo la teoria dell’“organizzazione scientifica del lavoro”. Un insieme di concetti che pur rappresentando un aspetto progressivo per la produttività complessiva sono di fatto “un sistema scientifico per spremere sudore”.
Allo “scientific management” gli ingegneri statunitensi giungono, si potrebbe dire, per via naturale. Protagonisti del processo di standardizzazione dei materiali, essi si pongono conseguentemente il problema di utilizzare analoghi criteri per il lavoro degli uomini. L’ingegnere ascendente diviene il razionalizzatore.
La standardizzazione è un processo obbligatorio collegato da un lato alla concentrazione produttiva, dall’altro all’allargamento del mercato.
È inconcepibile che produzione e mercato si sviluppino senza farsi accompagnare da un processo di omogeneizzazione delle merci. Viti di passo diverso, cavi elettrici difformi, vernici e materiale ferroviario non intercambiabili, non hanno valore di mercato, gli standard si impongono.
Nel 1864 W. Sellers formula quello della filettatura (l’attuale American Standard), negli stessi anni le compagnie ferroviarie omologano scartamenti e agganci. Nei primi anni del ‘900 la nascente industria dell’auto impone la standardizzazione del materiale elettrico e di quello chimico, come vernici, colle, solventi e gomme.
Un impulso definitivo lo fornisce la Prima guerra mondiale. Il Governo federale istituisce un apposito dicastero. Risultato è che nel dopoguerra è registrabile la scomparsa del 98% delle tipologie di prodotto. Quasi inutile aggiungere che di norma gli standard selezionati sono quelli delle imprese più forti.
Scrive D. Noble: “Probabilmente nessuno concentra in sé lo spirito dei riformatori di parte imprenditoriale più di Magnus Alexander, un ingegnere elettronico nato in Germania, che aveva lavorato come progettista per la Westinghouse e per la General Electric”.
Bene, cosa diceva Alexander?
La standardizzazione è “l’eliminazione dello spreco di materiali”, l’organizzazione scientifica del lavoro è “eliminazione dello spreco di uomini”.
Frederyck Taylor
L’equivoco in cui è incorso Thorstein Veblen nel vedere un conflitto inconciliabile tra tecnici e capitalisti, trova la sua spiegazione nella vicenda di Frederyck Taylor.
Nato nel 1865 da una ricca famiglia dell’aristocrazia quacchera di Philadelphia, diversamente dal padre “pensionato dalla nascita”, Taylor già nel 1874 entra in fabbrica come apprendista di macchina. Nel 1878 inizia la sua carriera tecnica alla Midvale Steel Company.
Grazie all’influenza del cognato Clarence Clark, che con William Sellers, costruttore di utensili e creatore degli standard americani di filettature, controlla l’impresa siderurgica, Taylor è assunto nella dirigenza aziendale.
Dopo la laurea in Ingegneria Meccanica allo Stevens Institute of Technology di Hoboken nel 1883, Taylor è socio dell’American Society of Mechanical Engineers, della quale sarà presidente nel 1905, e sviluppa la sua passione inventiva per il macchinario e il taglio dei metalli.
In questa attività Taylor impersona il “mens et manus” del MIT. Descriverà il suo impegno in officina come un’esperienza “piacevole”: “mi misi dietro una macchina e la feci funzionare per tutto l’inverno e lavorai le stesse ore degli altri operai…”
Le conseguenze per gli operai non saranno altrettanto piacevoli. Ha lavorato al tornio per studiare le velocità di taglio e provare gli utensili in acciaio autotemprante, o con leghe al tungsteno e manganese. Con l’aiuto di Maunsel White, esperto di metallurgia alla Bethlehem Steel, ha inventato l’acciaio rapido. Ma lo scopo principale del suo impegno riguarda l’espropriazione delle conoscenze tecniche nascoste degli operai, togliere discrezionalità al loro lavoro e frantumare il processo lavorativo in centinaia di operazioni distinte. Traguardo che riserva la “mens” ai tecnici e la “manus” agli operai”.
Fordismo
È dagli studi di Taylor e dell’Asme che nasce la catena di montaggio. Ford la mette in opera alla vigilia del primo conflitto mondiale per la produzione del famoso “modello T”.
Risultato: i tempi di produzione di un esemplare erano calcolabili nel 1913 in 12 ore ed 8 primi di lavoro, saranno di 1 ora e 33 minuti nel 1914. Cosa che darà il via alla motorizzazione di massa negli USA già prima del secondo conflitto mondiale.
“Mens” ai tecnici e “manus” agli operai, ma nulla toglie che, una volta preso il gusto della standardizzazione, nasca il tentativo di applicarla anche allo stesso lavoro di progetto. È quanto avverrà nei laboratori delle corporation americane.
ABB: MOBILITAZIONI CONTRO LE PROSPETTIVE INCERTE PER EPC
Il gruppo ABB il 6 novembre scorso ha annunciato la creazione di una joint venture con il gruppo saudita ARKAD, con lo scopo di conferire a tale nuovo soggetto le attività EPC (ingegneria, approvvigionamento e costruzione) del settore Oil & Gas.
Nella comunicazione fatta alla stampa internazionale ABB inserisce questa operazione nel programma “Next Level Strategy” che dovrebbe portare il gruppo a dismettere tutte le attività cosiddette non-core e a concentrarsi su attività a più alta redditività. Ovviamente il comunicato stampa illustrava l’operazione con rosee prospettive per il futuro della joint venture e dei lavoratori che vi operano, ma la maggior parte dei colleghi ha interpretato l’iniziativa come la volontà di disfarsi il più in fretta possibile di un business, ormai giudicato non più redditizio, e dei relativi 200 colleghi, molti dei quali ingegneri e tecnici altamente qualificati.
Il settore EPC Oil & Gas è un unicum nella multiforme galassia ABB ed è presente solo in Italia. Esso è figlio delle innumerevoli ed eterogenee acquisizioni di ABB nel decennio ’90 e successivamente sopravvissuto alla cessione dell’intero settore impiantistico di ABB, quando la Lummus Global, nelle cui attività erano confluite quelle di EPC Oil & Gas Italia, venne ceduta a inizio decennio 2000 alla Chicago Bridge.
Nell’arco di circa 15 anni a partire da inizi anni 2000, EPC Oil & Gas di ABB ha sviluppato decine di progetti in varie parti del mondo (dall’Algeria alla Thailandia, dal Pakistan al Cile) arrivando a circa 800 milioni di dollari di ordinato nel 2009. Tanto che il management di allora immaginava ulteriori sviluppi e nuovi record. Ma ai sogni di quel gruppo dirigente non hanno corrisposto investimenti e concrete strategie di sviluppo, limitando la valorizzazione delle competenze che pure erano e, tutt’ora, sono presenti. In aggiunta la difficoltà generale del settore Oil & Gas ha portato ad una situazione di crisi che si trascina ormai da un paio di anni.
Le risposte messe in atto da ABB per superare la fase di difficoltà sono state l’incentivazione alla fuoriuscita dei lavoratori, la cassa integrazione e una serie di vincoli e procedure, rinunciando nella sostanza all’acquisizione di nuovi progetti. Dai più di 300 lavoratori divisi tra le sedi di Sesto San Giovanni e Genova negli anni di punta, il settore attualmente conta circa 200 colleghi.
L’annuncio di vendita alla semisconosciuta ARKAD, assente dai mercati internazionali e presente solo nel pur ricco mercato locale, in un ambito che non è propriamente quello impiantistico dell’Oil & Gas, ha immediatamente creato allarme tra i lavoratori.
È iniziato subito il confronto sindacale che ha visto, da una parte, ABB trincerata dietro le norme di legge che le consentono di vendere sul mercato un suo ramo d’azienda, dall’altro, le organizzazioni sindacali che hanno giustamente richiesto di spostare il tavolo del confronto al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) per:
- Verificare la bontà di questa operazione industriale in un ambito, quello energetico, strategico
- Ottenere quante più garanzie possibili per i lavoratori.
In questo confronto i lavoratori di Sesto e Genova sono scesi in lotta per supportare le proprie rivendicazioni. Dal momento dell’annuncio si sono tenute assemblee, mobilitazioni e scioperi culminate con due scioperi con manifestazione e blocco stradale a Genova il 18 e a Sesto il 19 dicembre.
La mobilitazione ha avuto il suo effetto, il primo obiettivo, quello di spostare la trattativa a più alti livelli è stato raggiunto, infatti c’è stata e una lettera di convocazione al MISE ad ABB per avere chiarimenti sulla vicenda e anche una interrogazione parlamentare.
Al momento in cui scriviamo, la complessa partita è ancora in atto, ma una prima riflessione è fattibile. La vicenda ha costretto tutti i lavoratori di ABB a confrontarsi con situazioni che non avevano mai vissuto e a riflettere in merito al loro rapporto con l’azienda. Molti in virtù della propria professionalità ritenevano essere in un rapporto privilegiato in assoluto e sostanzialmente diverso da quello degli operai. Tutti i colleghi hanno potuto prendere atto che al di là della qualifica e delle competenze siamo dei salariati e siamo soggetti alle contraddizioni del mercato. Conseguentemente c’è stata adesione alle iniziative di mobilitazione, dapprima timida, poi con sempre maggior convinzione.
È la dimostrazione che una maggiore presenza sindacale tra gli ingegneri e i tecnici è quanto mai necessaria e possibile. Anche in questa vicenda si è dimostrato che l’azione collettiva, la coalizione tra colleghi rappresenta l’unico argine concreto alla sempre meno nascosta arroganza delle aziende, e un valido strumento per poter affrontare i sempre più evidenti tempi turbolenti che ci aspettano.
ENERGIA ELETTRICA
Settore dai mille volti
Per la molteplice importanza che ha avuto, che ha, e che avrà in futuro vogliamo mettere a fuoco il settore dell’energia elettrica. Il modo di produrre, di distribuire, e di consumare energia ha contraddistinto le diverse fasi storiche e gli stadi di sviluppo della storia umana. Ha portato ad ascesa e declino degli Stati, a scontri spesso conclusi con guerre, a sviluppo tecnologico e nuove forme di sfruttamento, tutti aspetti che si intrecciano nella storia mondiale.
Due grandi invenzioni, l’elettricità ed il motore a scoppio, fanno parte di quelle scoperte tecniche e scientifiche capaci di portare modifiche nel rapporto fra società e geografia, influendo non poco nei rapporti fra gli Stati. Un concetto semplice: l’elettricità è una forma di trasporto dell’energia a basso costo, ne permette la distribuzione negli angoli più remoti del globo, senza di essa l’utilizzo dell’energia prodotta, fosse idraulica o termica, rimaneva limitata al luogo di produzione e l’utilizzo solo locale ne costituiva un limite. Il salto è stato enorme. L’elettricità, separando lo spazio ed il tempo fra produzione e consumo supera e domina i vincoli spaziali delle dimensioni geografiche.
L’elettricità ha dato quindi impulso allo sviluppo tecnico necessario alla produzione di energia sia idraulica che termica, sviluppando conseguentemente le tecniche per l’estrazione ed il trasporto dei combustibili, fossero carbone, petrolio o gas naturale, tecniche che hanno comportato il dover superare confini politici e geografici.
È evidente quindi che i processi che ruotano intorno all’elettricità vanno oltre i già importanti aspetti tecnici e tecnologici in quanto sono strettamente connessi con la politica e diventano strumenti di potenza nei rapporti fra gli Stati.
Nel corso dell’ultimo secolo l’energia, le sue fonti, le reti per il trasporto sono spesso state l’oggetto del contendere di tante guerre diplomatiche e anche militari. La sola scelta delle fonti da utilizzare per la produzione di energia: idraulica, petrolio, gas naturale, nucleare, rinnovabili, comporta battaglie fra gruppi industriali ed economici all’interno degli stati, e fra le potenze.
Torniamo all’utilizzo: l’elettricità è da considerarsi un “vettore” a basso costo, attraverso il quale l’energia viene trasportata su lunghissime distanze per essere utilizzata su una scala quasi infinita: dal frullatore domestico alla macchina utensile, al computer, ed è interconnessa con altre tecnologie, in particolare con illuminazione e telecomunicazioni.
Tra queste due tecnologie, nell’ultimo secolo le soluzioni si sono intrecciate in un continuo mutuo riconoscimento e rafforzamento. Ricordiamo che una delle prime applicazioni industriali fu la trasmissione di segnali a bassa energia: il telegrafo. Tecnologie intrecciate in perenne evoluzione: pensiamo alla semplice lampadina, nella continua lotta fra costi e risparmio energetico.
La costruzione e conduzione di grandi centrali richiede notevoli investimenti sia economici sia in termini di personale molto specializzato: fisici, tecnici, ingegneri, manager.
Si può misurare la maturità tecnica/tecnologica di un paese, e proiettarne il suo sviluppo con il grado di autonomia raggiunto nel settore: la maturazione della Cina è solo l’esempio più eclatante.
La produzione di elettricità rappresenta solo il 2-3 % di un’economia industriale, ma il restante 97-98 % dipende da come questo 2-3 per cento funziona.
I blackout, ad esempio, mostrano in maniera evidente quanto “l’economia dell’informazione” dipenda dall’“economia dell’elettrone”. I teorici del “post-industriale” sottostimano il ruolo dell’industria in una economia avanzata.
Questi semplici dati fanno riflettere su quanto potere contrattuale c’è nelle mani dei colleghi del settore e quanto questi sarebbero utili e determinanti in una visione europea di rivendicazioni generalizzate.
Nel 2016 i primi 10 gruppi europei occupavano quasi un milione di lavoratori. Le “Top Ten” in Europa: EDF, ENGIE, VEOLIA in Francia, UNIPER, RWE ed E. ON in Germania, ENEL in Italia, SCOTTISH & S. E. e CENTRICA in Gran Bretagna, e in Spagna IBERDROLA e GAS NATURAL FENOSA.
Abbiamo cercato di mettere in evidenza l’importanza del settore nel rapporto fra gli stati e nei rapporti sociali, ci riproponiamo di tornare sull’argomento con gli approfondimenti utili alla nostra azione di orientamento e coalizione.